Ragaglini: “Perché
il posto di blocco per Negroponte non è stato tolto?”
05/05 C' e' un mistero che piu' degli altri grava sul caso Calipari
e sul quale l' intelligence italiana non ha mai ricevuto una risposta
plausibile da parte americana. Perche' la fatale 'blocking position
541', predisposta per proteggere il passaggio dell' allora ambasciatore
Usa in Iraq, John Negroponte, era ancora attiva dopo che l' alto diplomatico
americano - ora promosso capo dell' intelligence - era gia' arrivato
a destinazione? ''Negroponte - ricorda Cesare Ragaglini, il diplomatico
che, insieme al generale del Sismi Pierluigi Campregher, ha partecipato
ai lavoro del Gruppo investigativo congiunto sull' uccisione di Calipari
- doveva muoversi in elicottero, ma quella sera pioveva, quindi decisero
di farlo spostare via terra''. Per fare questo gli Usa chiusero tutta
l' Irish route, la superstrada che porta all' aeroporto di Baghdad,
per garantire la massima sicurezza. ''Alle 20.10 - sottolinea Ragaglini
- Negroponte era gia' passato e al sicuro ma la pattuglia ebbe l'
ordine di smantellare il posto di blocco fino alle 20.18, cioe' solo
per pochi minuti, e nessuno ha capito perche' ''. Il capitano responsabile
della sala operativa, prosegue il diplomatico, ''pur sapendo che Negroponte
era arrivato, ci disse che aveva avuto problemi di comunicazione,
che il Voip (il sistema di comunicazione satellitare Usa, ndr.) era
rotto. Ma aveva pero' un sistema radio per comunicare. Questo e' un
elemento indicatore - sottolinea Ragaglini - della gestione Usa, di
come le cose, quella sera, non siano andate proprio per il verso giusto'':
tutto cio', precisa, ''risulta agli atti''. La conclusione e' che
''alle 20.55 passa l' auto di Calipari e il posto di blocco, allestito
per la sicurezza di Negroponte, era ancora li' ''. Sul perche' quel
posto di blocco fosse ancora li', una risposta la da' Gigi Malabarba,
senatore di Prc e componente del Copaco, che sulla vicenda ha gia'
ascoltato, in un' audizione congiunta, il sottosegretario Gianni Letta
ed il direttore del Sismi, Nicolo' Pollari. Malabarba punta il dito
proprio contro John Negroponte, definendolo ''il responsabile della
pianificazione e realizzazione cosciente del contesto ambientale che
ha portato all'assassinio di Nicola Calipari''. ''Il posto di blocco
istituito per il passaggio dell' ambasciatore - rileva il senatore
- non e' mai stato utilizzato da Negroponte, mentre e' stato protratto
oltre ogni limite di sicurezza fino ad impattare l' auto di Calipari,
il cui satellitare ne ha consentito la localizzazione fin dal momento
della liberazione di Giuliana Sgrena''. Secondo questa versione, peraltro
accreditata in alcuni ambienti di intelligence, il ''tragico incidente''
sarebbe dunque il frutto dello scontro tra la ''linea trattativista''
promossa dall' Italia per quanto riguarda gli ostaggi e quella intransigente
propugnata dagli Usa. Non sarebbe quindi un caso il mantenimento del
posto di blocco in quel punto fino al passaggio dell' auto con gli
italiani: c' era la volonta', naturalmente non di uccidere Calipari,
ma di non far tornare gli uomini del Sismi indisturbati in Patria.
E il ''pasticcio'' del posto di blocco mantenuto ben oltre il passaggio
di Negroponte e' evidenziato anche nelle due relazioni, in quella
americana come in quella italiana. Nella prima si spiega che i militari
Usa dovevano presidiare il posto di blocco ''sino al cambio, che,
secondo le previsioni, sarebbe dovuto avvenire dopo che il convoglio
che trasportava l' ambasciatore americano a Camp Victory (presso l'
aeroporto, ndr) fosse passato e arrivato a destinazione''. Il 'BP-541'
e' attivo dalle 19.38. Il convoglio Vip parte intorno alle 19.45 dalla
Zona internazionale di Baghdad. Il posto di blocco e' distante solo
pochi minuti, quindi il capitano Michael Drew, che guida la postazione,
''pensava di mantenere la posizione di blocco per non piu' di 15 minuti''.
Ma il tempo passa e non arriva l' ordine di abbandonare la postazione,
nonostante piu' volte l' ufficiale chieda al comando di ''far tornare
i suoi soldati alle loro missioni di pattugliamento''. Alle 20.30
il capitano Drew rinnova la richiesta, ma gli viene detto che l' ordine
e' di mantenere la 'blocking position', visto che il convoglio con
Negroponte ''sarebbe arrivato lungo la Route Irish dopo circa 20 minuti''.
Subito dopo, pero', la relazione spiega che il convoglio di Negroponte
''giunge al cancello di Camp Victory alle 20.10''. L' ambasciatore
e' poi tornato nella Zona internazionale in elicottero alle 22.05
circa. Dunque, non aveva senso mantenere il posto di blocco se alle
20.10 Negroponte, l' obiettivo da proteggere, era gia' arrivato a
destinazione. Senza peraltro, a quanto emerge dalla relazione, essere
passato dalla Bp-541. Ma gli americani spiegano che che ci sono stati
problemi di comunicazione con il Voip e quindi non e' stato possibile
informare la Bp-541. Si poteva pero' usare l' altra modalita', Fm
(cioe' la radio), ma ''non si cerco' di farlo''. Il risultato e' che
la postazione viene mantenuta fino alle 20.50, quando giunge la Toyota
Corolla con i tre italiani a bordo.
Questo il documento italiano
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Questo il documento americano
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senza le censure (in formato word)
Andreotti: “Errare è
umano ma perseverare è diabolico”
''E' il momento della riflessione e dell'assunzione di responsabilita'.
La Scrittura insegna che errare e' umano; perseverare e' diabolico''.
Cosi' Giulio Andreotti ha concluso il suo intervento nell'aula del
Senato dopo l'informativa del Premier sulla vicenda Calipari. ''Vorrei
ricordare che spettano solo all'Onu gestioni o cogestioni commissariali.
Il governo ha esposto anche tesi inquietanti e, di qui a qualche giorno,
avremo un nuovo decreto di rifinanziamento della missione italiana
in Iraq. Il sette volte presidente del Consiglio ha invitato ''a distinguere
il problema della divergenza di valutazioni sull'indagine dal giudizio
generale sui rapporti tra Italia e Usa, caratterizzati da amicizia,
convergenza, aspirazioni comuni. La situazione attuale in Iraq - ha
proseguito Andreotti - e' tuttora eccezionale e puo' accadere di tutto.
La ragione? Una volta accertato che non esistevano armi di distruzione
di massa, come mai non c'e' stato un minimo di resistenza da parte
dell'esercito iracheno? Probabilmente Saddam Hussein ha deciso la
via della guerriglia, perche' spiegare la situazione attuale in Iraq
parlando solo del terrorismo e' riduttivo''. E' insolitamente duro
l'intervento del senatore a vita Giulio Andreotti nel dibattito al
Senato seguito all'informativa letta in Aula del presidente del Consiglio
Berlusconi sul caso Calipari. Andreotti ha ricordato di aver presentato
lo scorso 16 febbraio ''un ordine del giorno che fu recepito dal governo:
considerando non ipotizzabile un ritiro immediato dall'Iraq - spiega
Andreotti - era necessario un approfondito esame di tutte le voci
di spesa relative specialmente alla missione irachena, tanto per la
sopportabilita' finanziaria quanto, e soprattutto, per i benefici
che l'Italia consegue in proposito''. E Andreotti va avanti con le
sue critiche: ''Fare stanziamenti quasi tecnici di sei mesi in sei
mesi e' sbagliato'', e anche oggi- prosegue - ''il governo ha esposto
tesi inquietanti e nei prossimi giorni avremo un altro decreto legge''.
''E' vero, c'e' stata la crisi, ma l'esame a cui eravate impegnati
non e' stato fatto''. Questo, dice infine il senatore a vita, ''e'
il momento dell'approfondimento, di riflessione e di assunzione di
responsabilita''', perche' ''la Scrittura ci insegna che errare e'
umano, ma perseverare e' diabolico''.
Relazione in Parlamento sottotono
"E adesso andiamocene a mangiare". Sono le 13,30 quando
dall'emiciclo dell'aula al Senato sale fino alla tribuna stampa, grazie
alla splendida acustica e alle scarse presenze, la voce di un anonimo
che segnala cosi' la fine del dibattito sull'informativa "urgente"
del governo relativamente alla morte di Calipari. Conclusione un po'
prosaica per un caso internazionale che ha messo in tensione i rapporti
Italia-Usa, che ha visto intrecciarsi la drammatica vicenda del sequestro
Sgrena e dell'uccisione del funzionario del Sismi con la guerra in
Iraq, con tanto di ripercussioni interne, trasversali agli schieramenti
politici. Conclusione prosaica ma che ben corrisponde a un parlamento
che affronta l'appuntamento quasi fosse di routine. E' vero che- come
dira' poi Giovanardi- e' solo un'informativa, che non si deve votare
nessun documento. Certo fa comunque effetto la totale distonia tra
le prime pagine dei giornali che danno gran risalto al premier alle
Camere e la realta' stessa delle Camere. Montecitorio, ore 9,30. L'aula
presenta vistosi buchi, interi settori di banchi semivuoti, soprattutto
a destra. Palazzo Madama, ore 11,30. Stesso panorama. Anzi, forse
panorama quasi piu' desolato, perche' qui, appena Berlusconi finisce
di rileggere il testo gia' letto all Camera, praticamente l'intero
centro-destra evapora. Alla Camera, il Presidente del Consiglio e'
affiancato da diversi (non moltissimi) ministri. Al Senato, ci sono
soltanto La Loggia e Calderoli. Quest'ultimo si dilegua rapidamente.
Visto che, pero', al chiodo deve stare, Berlusconi approfitta di quelle
quattro ore di doppio dibattito per concedere udienza a molti dei
suoi. Come il famigerato medico della mutua, saluta, fa accomodare,
ascolta, risponde il minimo indispensabile, risaluta. E avanti il
prossimo. Accanto al banco del governo, in entrambi i rami, si forma
una fila di aspiranti a un abboccamento col Capo. C'e' solo un momento
in cui Berlusconi interrompe colloqui, personali o telefonici che
siano, per ascoltare con vero interesse. Quando parla Andreotti. "Graduale
disimpegno". E' la nuova formula berlusconiana. Naturalmente
concordato con gli alleati e quando la democrazia irachena sara' ben
salda. Niente piu' ritiro delle truppe italiane a settembre. Niente
brusco "tutti a casa", niente scherzi agli amici americani.
Indietro tutta. La fine della missione sfuma in un orizzonte indefinito.
Il fantasma di un premier che scavalchi a sinistra le prudenze e i
distinguo dell'Unione e nell'Unione non si materializza. Amaramente
(ma realisticamente) osserva Andreotti: se le cose stanno cosi', di
rientro "riparlerete nelle future legislature". Il senatore
a vita, in chiusura, cita: "Errare humanum est, perseverare diabolicum...".
Applausi dal centro-sinistra, indifferenza dal centro-destra. Interventi
sulle uova, massima attenzione a non collegare la morte di Calipari
con la questione dei soldati italiani in Iraq. Impresa difficile,
ci si muove lungo un sottolissimo filo. Sarebbe- dice Fassino- un
"atteggiamento ritorsivo sbagliato" e "non degno"
stabilire un qualche "automatismo". Comunque- rivendica
il segretario dei Ds- "noi la questione del ritiro l'abbiamo
posta anche prima della tragica vicenda". Tuttavia, "visto
che anche il governo giapponese annuncia il ritiro entro fine anno",
una riflessione s'impone pure per l'Italia. Qui, all'improvviso, la
scena cambia: dallo scacchiere internazionale alla bottega nostrana.
Succede che il leader diessino, mentre ricorda che sta intervenendo
a nome di Ds, Margherita, Sdi e repubblicani, viene interrotto dal
neoministro alle politiche comunitarie Giorgio La Malfa che ci tiene
a precisare: "repubblicani... europei". Fassino appare stralunato,
poi bacchetta: "Onorevole La Malfa, qui stiamo discutendo di
un qualche valore morale piu' alto...". Che succede? Parla Gasparri
e l'aula si svuota. Ma non c'e' niente di politico nel fatto. Non
e' che si contesti l'ex ministro che oggi torna alla politica-politica
e interviene per An. "Fisiologia...", chiarisce Casini.
Ovvero, una volta intervenuti i gruppi maggiori, l'attenzione (nel
caso in questione gia' scarsa all'origine) cala. Regola confermata.
C'e' un solo momento in cui Montecitorio si scuote dal suo torpore.
Tocca al vecchio comunista Armando Cossutta provocare una mini-scarica
di adrenalina nei presenti ponendo una domanda: "Il fuciliere
americano ha ucciso il dottor Calipari per un tragico errore o perche'
lo doveva uccidere?". La destra si sveglia e urla: "Vergogna,
Cossutta". Ma il presidente del Pdci non si cura delle contestazioni
e va giu' duro contro "l'affronto americano", maramaldeggia
con un premier al quale gli Usa riservano un trattamento del tipo
"pacche sulle spalle tante, fatti zero", e chiude con un
interrogativo sarcastico: "Vogliamo aspettare che gli americani
vengano via dall'Iraq prima di noi?". Si e' fatta una certa ora.
Berlusconi deve traslocare al Senato, dove e' gia' atteso. Gli oratori
che devono ancora parlare fanno finta di niente e ognuno di loro (tanto
nei resoconti stenografici non ci sono immagini) continua a rivolgersi
a un "Signor Presidente del Consiglio" che invece sta rileggendo
l'informativa "urgente" a Palazzo Madama. Per ultimo, a
Montecitorio, prende la parola Bobo Craxi, figlio di Bettino, il cui
nome in questi giorni e' corso e ricorso sui giornali per via di Sigonella.
Bobo evoca, senza citare esplicitamente, un'"analoga vicenda",
ma al governo di oggi (che pure sostiene) riconosce soltanto "un
certo coraggio" nel voler ricercare la verita' sulla morte di
Calipari, mentre chiede un "riequilibrio" del rapporto tra
Italia e America. Gianni Letta, che della vicenda sequestro Sgrena
e' stato regista, accompagna il premier sia alla Camera che al Senato.
Ma a Palazzo Madama, a un certo punto, il sottosegretario scompare.
Berlusconi e' solo al banco del governo. Sporadici senatori ai loro
posti. L'aennino Servello, nella foga oratoria, allontana lo spettro
che piu' teme: "Non siamo- dice- alla vigilia di una fuga dall'Iraq.
Non siamo alla vigilia di una decisione alla Zapatero, come vorrebbe
Prodi". Al socialista Cesare Marini, speaker unico della Fed,
tocca di svolgere il suo ragionamento mentre il presidente del Consiglio
fa una lunga telefonata, dall'apparecchio fisso, e prende appunti
su appunti. I suoi compagni di Ulivo gli fanno, quando finisce, un
sacco di complimenti. Di Marini, Berlusconi non ha ascoltato neanche
una parola. Per la verita', il premier (sempre alle prese con questo
che gli chiede una cosa e quello che gliene chiede un'altra) non ascolta
nemmeno il forzista Domenico Contestabile, ultimo degli iscritti a
parlare. In apertura, Contestabile da' una buona notizia ai pochi
presenti e ascoltanti: "Evitero' di ripetere le cose dette dal
presidente Berlusconi". Piu' o meno mantiene la promessa. Soprattutto,
e' stringatissimo. Anche perche' intanto s'e' fatta l'ora di pranzo.
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