Diffuso il rapporto americano. Un
terzo delle pagine è censurato
30/04 Il rapporto degli americani sul caso Calipari consta di 42
pagine, escluse le tre dell’indice, con un buon 35% del testo
cancellato e coperto da segreto militare. La cancellazione sembra
di natura non militare, ma di circostanza. Niente di nuovo nelle dichiarazioni,
appare la sostanziale distinzione tra le due versioni. Rimangono i
dubbi sulla velocità dell’auto e si sostiene la regolarità
dell’ingaggio e qundi non si procederà ad alcuna azione
disciplinare. Nessuna immagine di quelle annunciate, come riprese
dal satellite, della vettura cancellati i nomi dei soldati americani.
Coperte dal segreto militare sono tutte le informazioni che riguardano
il dispiegamento dei soldati Usa sul territorio iracheno, cosi' come
le definizioni, con i relativi distinguo, tra ''posti di controllo
del traffico'' e ''posti di blocco''. Per gran parte incomprensibile
e' il paragrafo che illustra le ''Tattiche, le tecniche e le procedure
d'attacco degli insorti''. Ad essere annerite con l'inchiostro sono
anche le pagine che descrivono la ''Route Irish'', che lo stesso rapporto
indica come ''la strada irachena con il piu' alto tasso di morti''
prendendo in prestito un' espressione in uso comune tra giornalisti
e militari. C' e' addirittura un paragrafo - a pagina 8 - dove vengono
elencati, con le dovute censure, gli incidenti piu' recenti avvenuti
proprio nei pressi del famigerato check point 541. Pagine quasi interamente
nere (dalla 14 alla 17) sono quelle relative alle dinamiche dell'addestramento
dei soldati Usa ai posti di blocco - quindi non solo quelli in servizio
al checkpoint 541 - e alle procedure specifiche in vigore la notte
del 4 marzo. E' impossibile trarre informazioni complete anche riguardo
alle regole di ingaggio, cosi' come sulla descrizione dell' incidente
e degli eventi che gli hanno fatto seguito. Per meta' non leggibili
sono le pagine 37, 38 e 39 dedicate alla ''Raccomandazioni'' che chiudono
con la conferma di un' indiscrezione, da giorni trapelata dal Pentagono,
che non saranno avviate azioni disciplinari nei confronti dei dieci
soldati del checkpoint 541 in turno il 4 marzo sera.
Questo il documento originale
in inglese (in formato pdf)
Il Sottosegretario D’Alia:
“Vogliamo che si faccia chiarezza fino in fondo”
30/04 ''Noi vogliamo che su questa vicenda si faccia chiarezza fino
in fondo, lo sforzo del premier e del nostro governo va in questa
direzione, con un atteggiamento di grande responsabilita'''. Lo ha
affermato il sottosegretario all' Interno Gian Piero D' Alia, commentando
il caso Calipari. ''L' atteggiamento del governo - aggiunge - sfata
il mito di una sinistra polemica e forcaiola che dice di vederci sottomessi
chissa' per quali ragioni a altri Stati. La nostra posizione e' di
grande e di pari dignita'. Noi vogliamo arrivare fino in fondo, vogliamo
sapere perche' e' morto Calipari''.
Rapporto USA:
SECONDO IL RAPPORTO GLI AMERICANI NON SAPEVANO DELLA SGRENA
Nella sezione B del capitolo 'Coordinamento', intitolata 'Coinvolgimento
Mnf-I/Mnc-I' (Forza multinazionale in Iraq-Corpo multinazionale Iraq,
ndr), il rapporto del Comando militare americano sull'uccisione del
funzionario del Sismi Nicola Calipari affronta la questione di chi
fosse a conoscenza della presenza di Giuliana Sgrena sull' auto. Ecco
quello che afferma in proposito il rapporto: ''Per determinare chi
o quali organizzazioni fossero a conoscenza della liberazione della
Sgrena e dell'operazione di trasporto, sono state raccolte dichiarazioni
giurate di alti responsabili militari nella Mnf-I (Forza multinazionale-Iraq)
e Mnc-I (Corpo multinazionale-Iraq), e di loro unita' subalterne che,
per le proprie funzioni, avrebbero avuto accesso a informazioni su
un'operazione del genere. Una dichiarazione e' stata anche fornita
dal (omissis) dell'ambasciata Usa a Baghdad. I risultati sono elencati
qui sotto:- Nessuno all'ambasciata Usa, compreso il (omissis) sapeva
dell' operazione Sgrena fino a dopo che e' avvenuto l'incidente della
sparatoria (allegato 114C).- Nessuno nella dirigenza della Mnf-I sapeva
dell'operazione Sgrena fino a dopo che e' avvenuto l'incidente della
sparatoria (allegati 1C a 27C).
- Nessuno, con un'eccezione che sara' indicata piu' avanti, nella
dirigenza dell'Mnc-I sapeva dell'operazione Sgrena fino a dopo che
e' avvenuto l'incidente della sparatoria (allegati 28C a 43C).
- Nessuno nella dirigenza (omissis) sapeva dell'operazione Sgrena
fino a dopo che e' avvenuto l'incidente della sparatoria (allegati
44 a 56C).
- Nessuno nel (omissis) sapeva dell'operazione Sgrena fino a dopo
che e' avvenuto l'incidente della sparatoria (allegato 5M).
- Nessuno nella dirigenza (omissis) sapeva dell'operazione Sgrena
fino a dopo che e' avvenuto l'incidente della sparatoria (allegati
58C a 63C).
- Nessuno nella dirigenza (omissis) sapeva dell'operazione Sgrena
fino a dopo che e' avvenuto l'incidente della sparatoria (allegati
65C a 71C).
- Nessuno nella dirigenza (omissis) sapeva dell'operazione Sgrena
fino a dopo che e' avvenuto l'incidente della sparatoria (allegati
72C, 96C a 99C).
- Nessuno al posto di comando Biap (Aeroporto internazionale di Baghdad,
ndr) sapeva dell'operazione Sgrena fino a dopo che e' avvenuto l'incidente
della sparatoria (allegato 110C).
- Nessuno al Gruppo di lavoro sugli ostaggi sapeva dell' operazione
Sgrena fino a dopo che e' avvenuto l'incidente della sparatoria (allegato
126C).
- Nessuno della compagnia (omissis) sapeva dell'operazione Sgrena
fino a dopo che e' avvenuto l'incidente della sparatoria (allegati
76C, 78C, 80C, 82C, 84C, 86C, 88C, 90C. 92C).
Si puo' pertanto affermare con certezza che i militari Usa erano totalmente
ignari della liberazione e del trasporto della signora Sgrena il 4
marzo 2005 fino a dopo che l'incidente della sparatorio e' avvenuto''.
MEGLIO CHE NESSUNO SAPPIA DELLA SGRENA
Dal rapporto del Comando militare americano sull'uccisione del funzionario
del Sismi Nicola Calipari si evince che un generale - si tratterebbe
del generale italiano Mario Marioli, vicecomandante del Corpo multinazionale
in Iraq - era al corrente che qualcosa stava succedendo riguardo alla
liberazione di Giuliana Sgrena, ma che avrebbe detto a un ufficiale,
presumibilmente americano, che era ''meglio che nessuno sapesse''.
Nella sezione C del capitolo 'Coordinamento', intitolata 'Capitano
(omissis)', il rapporto, infatti, cosi' ricostruisce alcuni colloqui
tra ufficiali il 4 marzo 2005. ''Alle 20:30 circa, il maggiore generale
(omissis) si e' rivolto al capitano (omissis) e gli ha chiesto come
andasse e se il tenente colonnello (omissis) gli avesse detto che
cosa stava succedendo. Il capitano (omissis) disse no, ma che sospettava
avessa qualcosa che fare con la giornalista italiana. Il maggiore
generale (omissis) disse 'Si', ma e' meglio che nessuno sappia'. Il
capitano (omissis) prese questo come un ordine di un ufficiale generale
di non trasmettere questa informazione a nessuno (allegato 109C).
Inoltre, il maggiore generale (omissis non intendeva che il capitano
(omissis) intraprendesse qualsivoglia azione sulla base di questa
informazione. Egli lo disse al capitano (omissis) solo affinche' questi
non fosse sorpreso quando fosse arrivata la signora Sgrena (allegato
100)''. ''Circa 20 minuti piu' tardi – prosegue il rapporto,
nella sezione C del capitolo 'Coordinamento', intitolata 'Capitano
(omissis)' - e' arrivata una telefonata al terzo Vip italiano nel
luogo vicino a (omissis). La telefonata dava notizia della sparatoria.
Il capitano (omissis) si mise in contatto con il personale Usa in
un vicino veicolo da combattimento Bradley e confermo' la sparatoria.
In seguito il capitano (omissis) riusci' a parlare con il capitano
(omissis) al Bp541 (il posto di blocco della sparatoria, ndr). Il
capitano (omissis) discusse della questione con il capitano (omissis)
e riferi' al maggiore generale (omissis) che era meglio che ritornassero
a Camp Victory, dato che i feriti venivano trasportati all'Ospedale
di appoggio combattimento nella Zona internazionale (allegato 107C).
Il maggiore generale (omissis) apprezzo' molto gli sforzi di coordinamento
del capitano (omissis) dopo la sparatoria (allegato 100C). Il capitano
(...) non era informato della liberazione e del trasporto della signora
Sgrena fino a a poco prima che avvenisse l'incidente al Bp541 (allegato
109C). Egli non doveva intraprendere alcuna azione al riguardo dal
momento che si trattava di una questione nazionale italiana, ne' era
nella posizione o aveva l'autorita' per farlo (allegato 100C). Egli
obbediva a un ordine del maggiore generale (omissis) (allegato 109C)''.
L’AUTISTA CHE GUIDAVA NON GUADRAVA IL CONTACHILOMETRI
L'agente che guidava l'auto della morte con a bordo Nicola Calipari
e Giuliana Sgrena sapeva spostarsi bene in Iraq, stava percorrendo
la strada piu' logica per raggiungere l'aeroporto, ma ''non aveva
guardato il tachimetro'' per controllare la velocita'. E' una delle
conclusioni del rapporto del comando militare americano sulla morte
di Calipari reso noto oggi. E nel quale si legge inoltre che la sera
del 4 marzo l'autista della Toyota ''mentre guidava su una strada
buia e bagnata dalla pioggia era distratto da diversi fattori fra
cui le conversazioni telefoniche'', ''si e' fatto prendere dal panico''
alle prime raffiche di avvertimento ed ha accelerato. Inoltre, ne'
lui ne' Calipari sapevano che la strada era interrotta da un posto
di blocco. Cosi' come ''nessuno dei soldati'' al posto di blocco sapeva
del loro arrivo, anche se lo sapeva un capitano - il cui nome, come
tutti gli altri, e' omesso - e che secondo il rapporto ne era stato
informato ''poco prima'' della sparatoria. Non e' chiaro dal testo
del rapporto - che omette i nomi, tranne quelli di Calipari e Sgrena,
ma non i gradi - dove questo ufficiale senza nome si trovasse. Ma
non si puo' escludere che si trattasse del capitano Green, l'ufficiale
di collegamento di cui parlavano le prime risultanze dell'inchiesta
della magistratura romana e che proprio per le sue funzioni avrebbe
potuto essere informato. Nel racconto si rileva anche che sia Calipari
che il guidatore, dopo aver prelevato la Sgrena nel quartiere Mansour
di Baghdad, in auto avevano avuto ''diverse conversazioni telefoniche
con vari funzionari, principalmente con il suo collega (il nome e'
censurato) che li aspettava all'aeroporto di Baghdad''. Calipari,
si legge nel rapporto, avrebbe tenuto il funzionario (omissis) che
li attendeva all'aeroporto aggiornato sulla loro posizione e avrebbe
organizzato le cose da fare''. Poi l'arrivo al fatidico posto di blocco
541: ''Il signor (omissis), che era alla guida, dovette rallentare
ad un certo punto perche' passando sotto la rampa'', denominata in
codice Route Vernon e che si immette sulla strada principale per l'aeroporto
(Route Irish), ''dovette rallentare per un allagamento, e non aveva
una strada alternativa per l'aeroporto. Stava percorrendo quella che
considerava la strada piu' logica per l'aeroporto, ma non guardava
il tachimetro. Ne' lui ne' Calipari sapevano che la rampa che immette
sulla Route Irish era bloccata. Pensava che la strada per l'aeroporto
fosse aperta''. L'allestimento del posto di blocco viene descritto
nelle pagine subito precedenti: dieci i militari impegnati, fra cui
un capitano, due sottotenenti, cinque sergenti e tre soldati scelti
con due veicoli blindati Hummvee, uno a bloccare la rampa d'accesso
e l'altro impiegato come punto d'osservazione e di segnalazione. Il
posto di blocco era stato allestito per proteggere il passaggio di
quello che viene genericamente chiamato un Vip (che dovrebbe trattarsi
dell'ambasciatore John Negroponte, all'epoca ambasciatore americano
in Iraq) alle 19.30. Cioe' oltre un'ora prima, ed aveva gia' controllato
15-30 veicoli e nessuno di questi aveva oltrepassato la ''linea di
allerta'' - precedentemente stabilita e seguita dalla ''linea di avvertimento''.
Dopo una minuziosa descrizione della posizione tenuta da ognuno dei
dieci militari, uno dei quali si stava ''pulendo gli occhiali protettivi'',
si arriva alla nota - una di quelle su cui la versione italiana e
quella americana divergono - sulla velocita': ''Mentre la macchina
si avvicinava alla rampa di immissione, il sig. (omissis) era al telefono
a ragguagliare il sig. (omissis) della loro posizione e dichiarando
che tutto stava andando bene. Ma pur non avendo l'abitudine di controllare
il tachimetro, il sig. (omissis) ha stimato che la sua velocita' mentre
usciva da Route Vernon era di 70-80 km/h mentre entrava nella rampa
di immissione a Route Irish (la Route Irish per l'aeroporto, ndr)''.
La ''luce di cortesia'' all'interno dell'auto, si ricorda, era accesa
sin da quando era stata prelevata la Sgrena. ''Inoltre il sig. (omissis)
aveva il suo finestrino abbassato a meta' per cogliere eventuali minacce.
La signora Sgrena e il sig. Calipari erano sul sedile posteriore intenti
a parlare fra di loro. L'atmosfera nell'auto - si legge ancora - era
un misto di eccitazione per l'avvenuta liberazione della sig.ra Sgrena
e la tensione per la missione che non era ancora completata''. Quindi
descrive l'avvistamento: ''Alle 20.50 circa il soldato scelto (omissis)
ha visto la machina avvicinarsi a circa 140 metri dalla sua posizione.
Il soldato scelto che reggeva il faro di avvistamento (tenuto a mano,
si descrive in un passo precedente, e della potenza di due milioni
di candele, ndr) con la mano sinistra ha puntato il fascio di luce
contro l'auto prima che questa arrivasse alla 'linea di allerta'.
A questo punto il sergente (omissis)...ha diretto il suo puntatore
al laser verde contro il parabrezza dell'auto quando questa ha raggiunto
la 'linea di allerta'. Sia il soldato scelto (omissis) che il sergente
(omissis) hanno avuto l'impressione che l'auto viaggiasse a piu' di
50 miglia orarie (e piu' velocemente di qualsiasi altro veicolo di
quella sera)''. Cruciale la descrizione dell'incidente: ''L'auto ha
passato la 'linea di allerta' in direzione della posizione dei soldati
senza rallentare. Il soldato scelto (omissis) ha continuato a puntare
il riflettore ed ha gridato verso il veicolo di fermarsi, un atto
rimasto vano, ma una pronta reazione frutto del suo addestramento.
Senza rallentare, l'auto ha proseguito verso la 'linea di avvertimento'
con il riflettore e il laser ancora puntati contro''. ''L'auto ha
continuato ad avvicinarsi a velocita' elevata, arrivando vicino ai
soldati piu' di qualsiasi altro veicolo quella sera. Quando l'auto
ha raggiunto la 'linea di avvertimento, il soldato scelto (omissis),
mentre continuava a tenere il riflettore con la sinistra, con la destra
ha sparato due o tre raffiche sull'area erbosa alla destra dell'auto
in avvicinamento (il punto prestabilito di puntamento) come colpi
di avvertimento''. ''Il veicolo ha mantenuto la sua velocita' anche
oltre la 'linea di avvertimento'. Il sergente (omissis), addestrato
a stimare la velocita' dei veicoli, ha stimato che l'auto stava viaggiando
a circa 50 miglia orarie (circa 75 km/h, ndr) e che non avrebbe potuto
mantenersi in carreggiata in quella curva a quella velocita'. Il soldato
scelto (omissis) ha lasciato cadere il riflettore e girato la sua
arma da sinistra a destra senza dover girare la torretta per orientarla
dritta alla macchina. ''Con entrambe le mani sull'arma, ha sparato
un'altra raffica, sventagliandola dal terreno sul lato del passeggero
verso il motore nel tentativo di disattivarlo. Le raffiche hanno colpito
la parte destra e frontale del veicolo, sgonfiato il pneumatico anteriore
sinistro e disintegrato i finestrini''. ''Il sig. (omissis) ha reagito
dicendo al telefono 'ci stanno attaccando', non sapendo chi gli stava
sparando. Ha spinto il pedale del freno, si e' accasciato sul lato
sinistro dell'auto e lasciato cadere il telefonino. Il soldato scelto
(omissis) ha smesso di sparare appena ha visto la macchina rallentare
e fermarsi. Circa quattro secondi erano trascorsi fra la prima e l'ultima
raffica e non piu' di sette secondi da quando la vettura aveva oltrepassato
la 'linea di allerta' fino al suo arresto'', fermandosi vicino alla
meta' della rampa di accesso all'altezza della seconda delle tre barriere
in cemento sistemate al lato della carreggiata. Il capitolo successivo
del rapporto descrive gli istanti immediatamente successivi alla sparatoria:
il conducente esce con le mani alzate, il cellulare in una mano; quattro
uomini (un ufficiale, due sottufficiali e un soldato scelto) si avvicinano,
armi puntate, tenendolo a terra e chiedendogli chi ci sia con lui
in auto: ''Il sig. (omissis) ha detto che c'erano altri due e che
c'era un'arma sul sedile anteriore ed un altro addosso al passeggero
maschio sul sedile posteriore'', avvisando che entrambe erano cariche.
Seguono l'esame del distintivo e dei documenti di Calipari e la perquisizione
del veicolo. Calipari, a questo punto, e' ancora vivo e uno dei soldati
arriva con del materiale di pronto soccorso, trovando Calipari ''gravemente
ferito''. ''Il soldato scelto (omissis) e' riuscito a fasciare la
ferita del sig. Calipari, il quale ''e' morto pochi minuti dopo''.
Lo stesso soldato, prosegue il racconto, ha quindi medicato Giuliana
Sgrena, ha cercato di praticarle un'iniezione endovenosa, ma aveva
aghi troppo grandi'', mentre il sergente, sceso dalla torretta del
veicolo blindato, ha fasciato la spalla della giornalista, che e'
stata quindi ''caricata sul veicolo di sbarramento e trasportata all'ospedale
militare con il veicolo di osservazione a seguire, poiche' i veicoli
militari statunitensi non viaggiano mai soli''. Il conducente e' stato
condotto (all'ospedale) piu' tardi con un mezzo differente'' ed a
lui e' stato consegnato ''tutto l'equipaggiamento che era nell'auto
prima della sparatoria''. Il conducente ferito avrebbe quindi raccontato
al sergente che lo trasportava in ospedale ''di aver udito colpi provenire
da qualche parte, di essere stato preso dal panico e di aver quindi
accelerato per raggiungere l'aeroporto il prima possibile'' e di aver
continuato a tenere alta la velocita' sulla rampa che immette sulla
strada principale, cioe' dopo il 'punto di avvertimento'''. Il sergente
ebbe l'impressione che l'agente italiano fosse ''frastornato''. Quanto
ai primi rilevamenti sul posto, il rapporto, in un capitolo a parte
sulla raccolta di prove (forensic evidence), si rileva come siano
state scattate fotografie, ma come ''non si sia potuta stabilire l'esatta
posizione dei tre veicoli coinvolti, dato che i due Humvee hanno dovuto
essere spostati per trasportare la sig.rina Sgrena all'ospedale militare
e l'automobile ha dovuto essere rimossa per consentire lo sgombero''
della strada. Tuttavia le distanze fra i ''punti rilevanti'' e' stata
presa con il sistema Gps la mattina dell''11 marzo. ''L'esame sull'automobile
e' stato fatto subito dopo la sua rimozione dal posto. L'analisi ha
rilevato 11 fori di entrata dei proiettili'', tutti calibro 7,62 millimetri,
che hanno perforato ''la sezione anteriore dell'auto e il paraurti,
il faro destro e il parafango destro. Due proiettili hanno perforato
il parabrezza, sei hanno perforato il lato sinistro, lo sportello
destro, il finestrino anteriore destro e i lunotti posteriori. Nessun
foro o ammaccatura e' stato rilevato sul pianale''. Inoltre, si legge,
provenivano tutti da uno stesso punto. Il documento conclude con alcune
''raccomandazioni'', fra cui quella sulla futura informazione/sensibilizzazione
agli automobilisti sulle ''responsabilita''' e il comportamento da
tenere nell'avvicinarsi ai posti di blocco della coalizione, o l'uso
di luci rotanti per segnalare da grande distanza la presenza di un
posto di blocco. Nelle premesse si sottolinea, come tutti i militari
dell' unita' impegnata nel posto di blocco avessero ricevuto adeguato
addestramento tecnico e preparazione sulle regole d'ingaggio, con
un aggiornamento risalente a circa un mese prima. E si rileva anche
che ''basandosi sul fatto che due (omissis) soldati erano stati uccisi
in un attacco all'esplosivo (dispositivo esplosivo improvvisato, 'Ied'
nel gergo degli acronomi usato dai militari, ndr) due sere prima''
il posto di blocco era stato rinforzato con mezzi blindati.
LE CONLUSIONI SOTTOLINEANO UN MANCATO COORDINAMENTO
Le conclusioni del rapporto del Comando militare americano sull'uccisione
del funzionario del Sismi Nicola Calipari affermano che un coordinamento
tra Italia e Stati Uniti nella vicenda della liberazione di Giuliana
Sgrena ''avrebbe potuto impedire questa tragedia''. La sezione finale
(D) del capitolo 'Coordinamento', intitolata 'Risultanze', afferma
infatti: ''Nessun militare americano nella Mnf-I, Mnc-I (Forza multinazionale
in Iraq, Corpo multinazionale in Iraq, ndr), compreso il capitano
(omissis), o unita' subordinate, furono informati dal Governo italiano
della missione di liberazione di un ostaggio avvenuta il 4 marzo 2005
(allegati ...). Il mancato coordinamento con il personale Usa fu una
consapevole decisione da parte degli italiani, in quanto essi consideravano
il recupero dell'ostaggio una missione di intelligence e una questione
nazionale. Sulla base di precedenti sforzi di coordinamento, coronati
da successo, da parte di (omissis) e (omissis) che lavoravano con
organizzazioni di varie agenzie al di fuori della loro catena di comando,
e' chiaro che, mentre l'operazione di recupero dell' ostaggio avrebbe
potuto sotto altri aspetti essere un successo, un preventivo coordinamento
avrebbe potuto impedire questa tragedia. L'Iraq e' tuttora un ambiente
ostile, vale a dire una zona di combattimento, e, quanto piu' puo'
esservi coordinamento per aumentare la consapevolezza delle situazioni
da parte di coloro che operano all'interno del campo di battaglia,
tanto meglio e' per tutto coloro che sono coinvolti (allegato 65C)''.
Un rapporto contraddittorio
Un quadro contraddittorio, da cui emerge che qualcuno nel Mnc-I (Multinational
Corps-I) il 4 marzo 2005 "sapeva dell'operazione Sgrena"
prima della sparatoria, forse il maggiore generale o il tenente-colonnello,
e che il capitano Usa sapeva perlomeno che l'arrivo degli agenti italiani
era legato al caso Sgrena . E' quanto emerge dal rapporto americano
diffuso oggi a Baghdad. "Si può affermare con certezza
che l'esercito degli Stati Uniti era totalmente all'oscuro della liberazione
e del trasporto della signora Sgrena il 4 marzo 2005 fino a dopo che
l'incidente con sparatoria si è verificato", sostiene
il rapporto di 42 pagine nella sua sezione V (sulla coordinazione
tra forze Usa e agenti italiani). Il rapporto spiega che "per
stabilire chi e quali organizzazioni fossero al corrente dell'operazione
di liberazione e trasporto di Sgrena si sono ottenute dichiarazioni
giurate dagli ufficiali militari-chiave nell'ambito della Mnf-I e
della Mnc-I e dalle unità subordinate che, per la loro funzione,
avrebbero avuto accesso a un'operazione del genere". Fra le diverse
dichiarazioni menzionate di seguito però, una contraddice la
conclusione di una totale ignoranza dell'esercito Usa: si legge infatti
che "nessuno, con un'eccezione di cui si tratterà più
oltre, nell'ambito del comando del Mnc-I, sapeva dell'operazione Sgrena
fino a dopo il verificarsi dell'incidente con sparatoria". Il
rapporto non chiarisce bene chi sia questa "eccezione" nel
Mnc-I, e anzi risulta piuttosto confuso al riguardo: il capitano,
sostiene poco oltre "sapeva dal 28 febbaio 2005, che un certo
numero di Vip italiani sarebbero arrivati" a Baghdad, ma "la
data del loro arrivo continuava a essere rinviata". Il capitano
inoltre "sapeva che i 'vip' (italiani, fra cui Calipari, ndr)
sarebbero stati coinvolti nel lavoro sull'ostaggio Sgrena", ma
"non conosceva ulteriori dettagli". All'arrivo di Calipari
e altri 10 italiani il 4 marzo, (avvenuto secondo il rapporto alle
16.26), lo stesso capitano dell'Mnc-I, "accompagnò tre
vip italiani, il maggiore generale e due Psd in tre macchine verso
una località a circa un chilometro oltre -omissis- sulla Route
Irish". Il rapporto fa capire che uno dei tre italiani doveva
essere Calipari , perché subito dopo spiega che a questo punto,
"due italiani lasciarono il gruppo, diretti all'interno di Baghdad".
Il resto del gruppo - prosegue la ricostruzione americana dei fatti
- poco dopo "tornò a Camp Victory, poi ritornò
alla località oltre -omissis-". Il rapporto qui indica
un particolare interessante: che il capitano aveva insistito per tornare
indietro nonostante il parere contrario del maggiore generale, "perché
la sua presenza sarebbe stata necessaria come interfaccia con le forze
di sicurezza americane nella zona Dal rapporto sembra emergere a questo
punto che il maggiore generale e il tenente colonnello erano informati
dell'operazione prima della sparatoria (avvenuta all'incirca alle
20,50 secondo la ricostruzione). Infatti, "approssimativamente
alle 20,30, il maggiore generale si è avvicinato al capitano
e gli ha chiesto se il tenente colonnello gli avesse spiegato cosa
stava succedendo". Il capitano "rispose di no, ma che sospettava
si trattasse della giornalista italiana". A questa risposta,
il maggiore gli disse "sì, ma è meglio che nessuno
lo sappia". Il capitano, secondo il documento Usa, "prese
questo come un ordine di un ufficiale generale di non comunicare l'informazione
a nessuno". Il rapporto conclude che "il capitano non fu
informato del salvataggio e del trasporto della signora Sgrena fino
a poco prima dell'incidente" e che "non era previsto che
agisse in alcun modo dato che si trattava di una questione nazionale
italiana, né era nell'autorità di farlo", dato
che "obbediva a un'ordine di un
maggiore generale". Dunque, nonostante il fatto che dal rapporto
emerga che alcuni ufficiali superiori americani erano al corrente
dell'operazione già prima del capitano, la conclusione della
ricostruzione è che "nessun militare Usa dell'Mnf-I, Mnc-I
(incluso il capitano), o unità subordinate furono informati
dal governo italiano della missione di liberazione dell'ostaggio".
E la responsabilità di questa situazione, secondo il documento
Usa, sarebbe soltanto degli italiani: "Non coordinarsi con il
personale Usa è stata una decisione consapevole degli italiani
dato che consideravano il salvataggio dell'ostaggio una missione di
intelligence e una questione nazionale".
L’Avv. Taormina annuncia una
nuova prova schiacciante che smentisce gli americani
Una nuova schiacciante prova che smentisce la tesi Usa sulla morte
dell'agente del Sismi Nicola Calipari. E' nelle mani dell'avvocato
Carlo taormina che la prossima settimana la consegnera' alla magistratura
romana. ''A mia personale tutela e a garanzia della verita' - dichiara
Taormina - rendo pubblico che nella prossima settimana consegnero'
alla magistratura romana, la quale sono certo, non intendera' occultare
alcunche', l'audio e la trascrizione di una telefonata registrata
da un sito internet intercorsa tra un italiano e uno straniero che
parla italiano pochissimi minuti prima che si attentasse alla vita
di Calipari e Sgrena. Il contenuto della telefonata - anticipa il
penalista - consegna una verita' totalmente diversa da quella americana
e da quella italiana e dimostra una realta' assolutamente sconvolgente
fino a doversi augurare che si tratti di un falso''. Taormina mette
quindi in guardia chiunque avesse intenzione di sottrargli l'importante
documento: ''Nessuno pensi di visitare i luoghi di mia privata dimora,
come frequentemente accaduto, perche' non troverebbe nulla. Del materiale
informatico in questione sono in possesso per motivi professionali''.
A sparare furono i soldati intervenuti
su Ground Zero
I dieci militari americani dispiegati il 4 marzo scorso al posto
di controllo 541 lungo la strada per l' aeroporto di Baghdad appartenevano
al 'Fighting 69', l'unita' che nell'autunno 2001 pattuglio' le rovine
fumanti del World Trade Center di manhattan. La pattuglia - guidata
da un capitano e composta da due sottotenenti, cinque sergenti e tre
soldati scelti - faceva parte di un'unita' maledetta della Guardia
Nazionale di New York, che aveva accolto con un sospiro di sollievo,
poche settimane prima, l'incarico di vigilare sulla strada per l'
aeroporto, dopo essere uscita a pezzi da un incarico massacrante in
un'altra zona dell'Iraq. 'Soldati della domenica' e' la definizione
con cui vengono chiamati con sufficienza i volontari che fanno parte
di unita' come quella coinvolta nella sparatoria. In realta', il 'Fighting
69th' ha una lunga storia, la fama di essere un'unita' ben preparata
e un passato recente di sacrifici non indifferenti in Iraq. Il suo
quartier generale e' insolito: una vecchia caserma sulla Lexington
Avenue, nel cuore di Manhattan, che viene usata piu' spesso per mostre
d'arte e fiere campionarie, che non per operazioni militari. Dopo
l'11 settembre 2001 questa caserma divenne famosa come il punto di
coordinamento delle ricerche dei dispersi, il luogo dove migliaia
di familiari delle vittime delle Torri Gemelle venivano a cercare
informazioni. I pochi soldati che ora si trovano nella caserma newyorchese
preferiscono non parlare degli eventi di Baghdad. Quale sia invece
lo stato d'animo con cui i soldati della 69/a vivono l'incarico in
Iraq, lo aveva raccontato il New York Times proprio il 4 marzo, il
giorno della sparatoria, in un servizio da Baghdad. Il colonnello
Geoffrey Slack, un quarantasettenne al comando dell'unita', aveva
spiegato come l' incarico di pattugliare la strada per l'aeroporto
- ricevuto poche settimane prima - fosse quasi noioso. ''Fino a ora
questa missione e' stata di una calma mortale'', ha detto Slack. I
'ragazzi di Ground Zero' erano arrivati in Iraq nell' ottobre 2004
ed erano stati inizialmente assegnati a Taji, una localita' rurale
a nordovest di Baghdad. Qui, il 29 novembre, era avvenuto l'evento
che ha cambiato l'avventura irachena del 69/o: una bomba nascosta
sulla strada aveva fatto saltare in aria un gippone Humvee, uccidendo
il sergente Christian Engeldrum, 39 anni, e il soldato Wilfredo Urbina,
29. Erano state le prime due vittime del battaglione dai tempi della
Seconda Guerra Mondiale, ma non le ultime in Iraq. Da allora fino
al 4 marzo, dieci uomini della 69/a erano morti nell'area di Taji
e quando a gennaio l'unita' era stata trasferita sulla 'Route Irish'
- come e' chiamata in gergo militare la strada dell'aeroporto - i
suoi uomini avevano accolto l'incarico con un sospiro di sollievo,
nonostante si tratti del peggior tratto stradale di tutto l'Iraq.
Il 69/o e' composto da un mix etnico che ne riflette la provenienza
da New York. A indossare la divisa con i colori della Guardia nazionale
newyorchese ci sono, tra gli altri, un agente immobiliare portoricano,
un ebreo del Bronx, un manager del settore pubblicitario, uno studente
ecuadoregno che vive nel Queens, un italoamericano di Staten Island.
Gente come lo 'specialista' Brian Burns, 24 anni, che quando non e'
in divisa fa lo chef a New York e che lo scorso 6 gennaio ha visto
finire a pezzi uno dei suoi migliori amici, il soldato Kenneth VonRonn,20
anni, saltato su una bomba con il suo Bradley blindato.
Calderoli: “Attenta e approfondita
riflessione sui tempi di rientro delle nostre truppe”
''Se i militari statunitensi hanno davvero rispettato le regole d'ingaggio
- afferma il ministro per le Riforme Roberto Calderoli - visto l'esito
di questa vicenda, allora significa che ad essere sbagliate sono proprio
le stesse regole d'ingaggio''. ''Comunque sia - aggiunge il coordinatore
delle segretarie della Lega - alla luce delle dissonanze emerse dai
risultati raggiunti dalla commissione mista di inchiesta, e' opportuno
che governo e maggioranza svolgano un'attenta e approfondita riflessione
sui tempi di rientro delle nostre truppe impegnate nella missione
di pace in territorio iracheno. A casa mia si dice che chi non e'
buon per il re non e' buono neppure per la regina...''
Il Padre di Baldoni domanda: “Si
fece tutto il possibile epr liberare mio figlio?”
Si e' chiesto se effettivamente venne fatto tutto il possibile per
liberare il figlio Enzo ed ha lanciato un nuovo appello perche' gli
sia restituito almeno il corpo, Antonio Baldoni, padre del giornalista
di origine umbre rapito ed ucciso in Iraq, che oggi a Preci ha ricevuto
una targa d' argento del presidente della Repubblica. Un riconoscimento
sollecitato dal sindaco del piccolo centro della Valnerina, Alfredo
Virgili, per l'attivita' di ''imprenditore sempre all' avanguardia''
(la famiglia gestisce un agriturismo a Preci) svolta da Baldoni, che
ha 82 anni, e per la sua capacita' di tenere comunque unita la famiglia.
A consegnare la targa e' stata la presidente della Regione, Maria
Rita Lorenzetti. ''Mi viene da fare un parallelo - ha detto Baldoni
- con cio' che il Governo ha fatto per tutti gli altri ostaggi e chiedermi
se per Enzo sia successo lo stesso. Ci sono stati due pesi e due misure''.
Il padre del giornalista ha quindi fatto riferimento ad alcune interviste
del funzionario del Sismi Nicola Calipari morto in occasione della
liberazione di Giuliana Sgrena. ''Quelle nelle quali - ha spiegato
- diceva di avere un magone sullo stomaco per non essere riuscito
a liberare mio figlio avendo incontrato alcuni 'ostacoli'''. ''Comunque
ormai Enzo nessuno ce lo ridara' piu' - ha affermato ancora Antonio
Baldoni - e la speranza e' almeno di riavere il suo corpo, una tomba
sulla quale poter piangere. Alla Farnesina ci ripetono che i canali
per riavere il corpo di Enzo sono ancora aperti - ha concluso il padre
del giornalista - ma io ho dei forti dubbi''. La cerimonia di consegna
della targa si e' svolta nella sala polivalente del comune di Preci,
presente la famiglia Baldoni e numerose autorita' civili e militari.
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