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Dir.resp. Pippo Gatto |
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Arrestato "re del videopoker"
Un impero immobiliare nelle mani del re del videopoker arrestato a Reggio. Le cosche volevano ucciderlo 13 gen 09 A Reggio Calabria lo chiamano il "re del videopoker". Centinaia di macchinette mangiasoldi, la gran parte delle quali taroccate per ridurre al minimo le vincite, distribuite non soltanto in sale gioco, ma anche in molti bar, pub e ristoranti. Gioacchino Campolo, di 70 anni, arrestato dalla Guardia di finanza, è sempre stato un uomo che ha esercitato molto potere. Non solo per i tanti miliardi che ha guadagnato e che ha reinvestito nell'acquisto di centinaia di immobili anche di prestigio, in Italia ed all'estero, ma anche per i suoi rapporti con esponenti politici di vario colore politico e con la cosca De Stefano, una delle più potenti della 'ndrangheta. Prima o poi, pero', anche i poteri apparentemente più inattaccabili e più protetti finiscono. E così anche su Campolo si è abbattuta adesso la mannaia della giustizia, col suo arresto e quello della moglie, Renata Gatto, di 60 anni e del figlio Demetrio, di 27, ma soprattutto col sequestro di beni immobili per un valore di oltre 35 milioni di euro. Provvedimento che si aggiunge a quello già adottato nei confronti di Campolo nel luglio scorso con il sequestro di altri beni per un valore, in quel caso, di 25 milioni di euro. Sessanta milioni di beni tra case, terreni, titoli bancari. Tra i beni sequestrati anche un appartamento di lusso a Roma, ai Parioli, ed un altro a Parigi. E non è tutto perché la Guardia di finanza sta ancora indagando per individuare l'intero impero immobiliare di Campolo, districandosi tra finte vendite e intestazioni fittizie a parenti e prestanome fatti allo scopo di evitare il possibile sequestro dei beni. Operazioni che hanno fatto scattare, adesso, l'arresto di Campolo, accusato di trasferimento fraudolento di valori. Con Campolo avevano rapporti in molti poiché sono tanti i politici che hanno preso in affitto suoi immobili per utilizzarli come segreterie o per altri scopi. Non solo: già a luglio si scoprì, e sembra un paradosso, che i locali in cui a Reggio Calabria sono ospitati gli uffici del Tribunale di sorveglianza, nel pieno centro cittadino, sono di proprietà di Campolo. Quella giustizia che, in sostanza, avrebbe dovuto reprimere le attività illecite di Campolo, in realtà le sfruttava e se ne faceva complice, alimentando il suo potere. Adesso si scopre che Campolo, grazie ai suoi rapporti diretti o per interposta persona con ambienti della magistratura, ha avuto la disponibilità di provvedimenti ed atti giudiziari riservati che coinvolgevano i suoi interessi. Troppo potere in capo ad una sola persona. Una situazione rischiosa anche per lo stesso Campolo. Tanto che il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, facendo riferimento alle dichiarazioni del pentito Giovanbattista Fragapane, ha ricordato che alcune cosche avevano progettato di uccidere l'imprenditore. Intento fallito grazie all'intervento del capo della cosca, il boss Orazio De Stefano. Le cosche volevano ucciderlo. "Gioacchino
Campolo, per come si evince dalle dichiarazioni del collaboratore
di Giustizia Giovanbattista Fragapane, è legato alla cosca
De Stefano". Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Reggio
Calabria, Giuseppe Pignatone, incontrando i giornalisti insieme ai
vertici calabresi della Guardia di finanza. "Gli esponenti della
cosca - ha aggiunto Pignatone - riuscirono a bloccare anche il progetto
di ucciderlo da parte di altri gruppi mafiosi". Campolo aveva
acquisito al patrimonio della sua famiglia numerosi immobili di prestigio
ubicati in rue S. Honoré, a Parigi, e nel quartiere Parioli,
a Roma. "Si tratta di patrimoni - hanno sottolineato i comandanti
regionale e provinciale della Guardia di finanza, colonnelli Gaetano
Giancane e Alberto Reda - frutto di ingenti capitali illecitamente
acquisiti nel corso di anni e sulla cui origine è tutt'ora
in corso un approfondimento investigativo". Nell'ambito dell'inchiesta
sono indagate anche due figlie di Gioacchino Campolo. L'imprenditore
era a conoscenza del fatto che un affiliato alla 'ndrangheta voleva
ucciderlo. In una intercettazione del gennaio 2008 Campolo ne parla
alla sua segretaria, alla quale racconta che per due sere qualcuno
lo ha seguito. Ma emerge pure che ad evitare l'omicidio sarebbe stato
il boss Orazio De Stefano. Nel marzo 2008 i finanzieri registrano
un'altra conversazione fra Campolo e un suo dipendente. Questa volta
l'imprenditore è molto prodigo con il suo interlocutore e non
risparmia i particolari. Gli racconta che Mario Audino lo voleva ammazzare,
che si recava da lui e lo "baciava". Aggiunge che Audino
aveva già preparato una Fiat Uno da utilizzare per l'omicidio.
Durante la conversazione, Campolo legge al suo interlocutore passi
che lo riguardavano del verbale illustrativo redatto dai magistrati
che riguardano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanbattista
Fracapane, che ha rivelato il piano omicida, che fino a quel momento
erano ancora riservate, ma Campolo ne era in possesso. Informato su atti riservati. Gioacchino Campolo, il re dei videopoker arrestato stamani dalla Guardia di Finanza, ha sempre avuto la disponibilità di provvedimenti ed atti giudiziari riservati che potevano in qualche modo coinvolgere i suoi interessi, anche quando, non essendo l'imprenditore direttamente interessato a questi procedimenti, non aveva alcun titolo per entrarne in possesso. Il dato emerge dall'inchiesta coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Gli inquirenti mettono in evidenza che Campolo "gode, ed ha sempre goduto nel corso degli anni, di contatti, collegamenti con persone in grado di poterlo informare circa situazioni fattuali, processuali o di cronaca giudiziaria che lo riguardano". Dalle intercettazioni emerge, inoltre, che l'uomo contatta alcuni "amici" che "conoscono magistrati del distretto di Reggio Calabria e della Cassazione", per tentare di avere notizie sui giudici che si stanno occupando della sua inchiesta. "La 'ndrangheta piu' pericolosa è quella dei colletti bianchi". E' quanto dice in una conversazione l'imprenditore Gioacchino Campolo . L'uomo, intercettato durante una conversazione con un conoscente, fa commenti sulla giustizia e sull'applicazione delle leggi. Campolo parla pure della presenza, in loco, qualche tempo addietro, di una telecamera collocata dalle forze dell'ordine per controllarlo, dimostrando ancora una volta di avere la possibilità di acquisire informazioni coperte dal segreto investigativo, e afferma che il pm titolare delle indagini che lo riguardano potrebbe essere manovrato da altri giudici più importanti "e di conseguenza deve stare molto attento". Parlando del potere criminale dice: "La 'ndrangheta di Reggio e' fesseria! C'é la 'ndrangheta di Roma, c'é la 'ndrangheta nel governo, c'é la 'ndrangheta in tutti i posti...''. E aggiunge: "là c'era una telecamera, ora l'hanno tolta, e non so se l'hanno messa da un'altra parte. Sentivano quello che dicevo e quello che facevo. Vi pare giusto che un imprenditore deve avere queste cose? Vi pare giusto?". L'interlocutore risponde: "E' uno schifo!"
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