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30 mln di beni sequestrati dalla DIA

 

Sequestrati dalla Dia 30 mln di beni a un imprenditore ex vigile urbano

14 gen 09 Beni per un valore di 30 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Dia di Reggio Calabria ad un imprenditore, Giovanni Zema, di 54 anni. L'uomo è sospettato di essere contiguo alle cosche reggine Araniti, radicata nel rione Sambatello, e Audino, operante nel quartiere di San Giovannello e quelle dei Libri e dei Serraino, storicamente considerate tra le più temibili della città. Il sequestro, disposto dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, ha riguardato tre società, numerosi fabbricati, terreni, automezzi e disponibilità finanziarie. Il patrimonio, secondo l'accusa, è risultato sproporzionato con i redditi dichiarati ufficialmente da Zema e dalla sua famiglia. Giovanni Zema, ex vigile urbano, ha iniziato l'attività di imprenditore nel settore edile nei primi anni '80. In passato, secondo quanto riferito dagli investigatori, e' stato indagato più volte per presunti legami con la criminalità, tramite l'impresa edile denominata Cesaf, e per presunte irregolarità nell'aggiudicazione di appalti pubblici per la costruzione del nuovo ospedale Morelli e di 276 alloggi, venendo sempre assolto. Nel 1989 è stato sottoposto ad avviso orale dal Questore. Zema è stato oggetto di indagini anche nell'ambito dell'operazione "Testamento", conclusa nell'estate 2007 dalla squadra mobile con l'arresto di numerosi esponenti della cosca Libri. Nei suoi confronti, pero, il gip non ravvisò gli estremi per l'emissione di un provvedimento restrittivo, ma stigmatizzò invece una posizione di contiguità alla cosca stessa. Il provvedimento di oggi è stato emesso al termine di una serie di accertamenti patrimoniali svolti dalla Dia di Reggio Calabria. Il Tribunale, hanno riferito gli investigatori, ha ravvisato, nell'occasione, l'esistenza di una "impresa mafiosa", che si impone sul mercato attraverso metodi sleali, con sinergie con le istituzioni locali e l'esclusione di altre imprese grazie al rilevante peso che deriva dal sodalizio mafioso di riferimento, alterando così il principio di libera concorrenza. Per i giudici, sempre secondo quanto è stato riferito, è stata rilevata una sorta di "zona grigia" dell'imprenditoria, non formalmente affiliata ad una specifica casca ma in grado di porre le proprie potenzialità economiche al servizio dei vari gruppi malavitosi e di ricavarne corrispondenti utilità.

 

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