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Sempre e solo insulti. Questo è

 

 

Sempre e solo insulti. Questo è

29 set 16 Caro Gabriele, capisco il momento che stai vivendo e ti assicuro che non ne godo affatto. Oggi sarebbe stato il turno delle tue rimostranze. So meglio di te come funziona, io, definito sulle tue pagine "confidente della questura che si spacciano per giornalisti", e di sicuro i tempi del mio giornale non li lascio a te che hai fretta di uscire non da accuse ma da una sentenza gravissima di condanna. Garantista fino in fondo. Quello che ti riguarda è stato trattato per come è accaduto. Ho semplicemente fatto il cronista raccontando quello che è. Io, definito sulle tue pagine "lecchino di Occhiuto", infilato nelle tue battaglie (?) con ogni possibile aggettivo che offende la mia persona. Non ho bisogno di denunciarti. Le parole amare le comprendo Ma non le accetto. Per questo ho deciso di non sparare sulla croce rossa ma di pubblicare per intero quanto, ancora una volta, e non è la prima, mi scrivi in privato. Scrivi? Un eufemismo. Non ho nulla da nascondere. Il mio agire è alla luce del sole. Avrei potuto replicare magari definendoti "eterno fucile del tuo padrone di turno". Ma non lo faccio. Non giudico, parlo di fatti. Ho rispetto del tuo lavoro. Lo stesso che avrei preferito avere del mio. Tutto qui. Non c'è altro da aggiungere.
Ps: Aspetto ancora che i tuoi legali mi mandino le tue memorie difensive.

Il testo dell chat:

C.: senti oi lecchino di merda, a ferace la talpa l'hai fatto parlare adesso se fossi un giornalista serio mi faresti replucare ma siccome sei un cesso piegato ai potenti non lo farai, sappi che mi fai pena e alla prima occasione mi vendicherò puoi stare tranqullo oi cesso

Io: È quello che avrei fatto oggi, ma pubblico questo tuo prezioso scritto, visto che hai già cominciato il tuo rosario nei miei confronti. E che ti pensi che quello che scrivi tu è il giusto e tutti il resto del mondo è marcio?

C.: il diritto di eplica si dà subito non dopo che hai fatto parlare il tuo padrone. Ti ricordo inoltre che esiste l'appello e che no è una sentenza defintiiva. tu sei certamente il lecchino più squallido della città

Io.: Mo mi devi dare tu i tempi?

C.: pippoga vafanculo a mammata

C.: sei solo un cesso

C.: che cammina

C.: pubblica pure questo: a puttana i chi te stramuartu

C.: anzi fai una cosa vai a denunciarmi dai tuoi amici del tribunale oi lecchino

C.: ma non ti vergogni della merda che sei?

C.: quando ti guardi allo specchio non ti sputi da solo per quanto sei verme e strisciante?



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