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Presentazione del libro:

Giacomo Mancini, mio padre.

La lacerazione tra Craxi e Mancini determinò la lacerazione dei socialisti

Più che una presentazione del libro di Pietro Mancini su suo padre è stata una serata di riflessione politica sulla figura di Giacomo Mancini, perno centrale della storia del socialismo italiano. Pietro non avrebbe sperato in tanto, o forse, visto l’autorevole parterre di oratori e convenuti, avrà pensato sicuramente a qualcosa di simile. Parlare della enorme figura del leader socialista è impresa ardua per chiunque intenda cimentarsi. Ma non solo per il giusto onore che la figura merita, ma soprattutto perché si affronta un tema che rischia di diventare non sviluppato tale e tanta è la grandezza del suo pensiero e delle sue opere. Si corre il rischio di fare brutta figura nel dimenticare questo o quell’episodio o di tracciare solo una parte della sua lunga vita politica e sociale. Una vita intensa vissuta all’interno della politica italiana da protagonista principale e non da attore comprimario. E la presentazione del libro questa sera è stata anche l’occasione per mettere a fuoco un periodo storico molto importante nella vita, non solo politica, italiana. Ci riferiamo al rapporto tra Mancini e Craxi che, alla luce dei fatti di oggi, ha determinato una svolta in negativo dell’evoluzione politica socialista e di conseguenza nazionale. Se Craxi e Mancini non avessero litigato, è una parola forte ma necessaria, probabilmente il partito socialista oggi esisterebbe ancora. Non è una forzatura o la ricerca di chi è il colpevole. E’ soltanto una delle tante analisi che si possono fare analizzando i fatti storici dell’epoca. Mancini, vero leader ed anima del partito socialista italiano, lancia Bettino Craxi alla segreteria del partito in un momento in cui lo stesso avrebbe dovuto volgere al meglio, dopo la negativa parentesi De Martino. L’egemonia di Craxi che mise subito da parte Mancini perché reo di litigare troppo con i giudici, diceva Craxi, portò si il PSI ad una brillante ascesa che durò però pochi anni. Senza entrare nei meriti e nelle precisazioni, che ben riempiono di risposte gli interrogativi che nascono per quel periodo, è bene rifarsi al libro di Pietro Mancini, vero saggio giornalistico e politico, allo stesso tempo, come lo ha definito il prof. Crispini preside della facoltà di lettere , di quella Università della Calabria, voluta da Mancini e timbrata subito come covo terroristico giusto a sottolineare quella sorta di mobbing continuo, felice definizione del senatore Landolfi che così descrive le continue persecuzioni subite dal grande leader calabrese. Mancini ha di fatto costruito il socialismo in Calabria, ha ancora aggiunto Landolfi, imperniandolo su lotte sociali e politiche volte al riformismo socialista. Per questo suo continuo agire pragmatico fu sempre contrastato e perseguitato per frenarne la sua immensa attività. E qui l’intuizione di Landolfi che parla letteralmente della “lacerazione tra Craxi e Mancini” come la vera e propria lacerazione del socialismo italiano. Una intesa tra i due grandi riformisti avrebbe salvaguardato il Psi nella sua storia. “La responsabilità maggiore era di Craxi che isolò Mancini ha detto il senatore Landolfi , poi mani pulite che non iniziò negli anni ottanta ma già nel 78 e nell’81 aveva iniziato la sua campagna. Infine l’imputazione dei giudici di Palmi che lasciarono Mancini solo abbandonato dal partito e dagli amici”. Ad inizio manifestazione un saluto di La daga e del giovane Femia che hanno ricordato la loro vicinanza al leone socialista. In sala tantissime le presenze socialiste e non. Su tutti quella di Costantino Belluscio e dell’avv. Giuseppe Caratelli fiero avversario nella campagna elettorale che vide trionfare Giacomo Mancini nelle comunali del 1996. Pieno di spunti riflessivi sul meridionalismo è stato l’intervento di Pasquino Crupi che ha tenuto con la sua intelligente orazione compagnia per più di venti minuti la sala, in attesa che arrivasse l’on. De Michelis, ironia della sorte, intrappolato in un lungo viaggio sull’A3 voluta da qual Mancini che tolse la Calabria dall’isolamento con questa importante arteria, oggi diventata una gruviera. Gli onorevoli Armando Veneto e De Michelis, assieme Pietro Mancini, hanno affondato i loro discorsi nelle strane coincidenze e persecuzioni giuridiche legate molte volte a fatti ed eventi politici che non rispecchiano l’etica, da tutti abbondantemente agognata. L’on, Veneto se lo chiede ancora, riflettendo anche sull’ultima assemblea del centro sinistra. Pietro Mancini lo esplicita chiaramente. Poi De Michelis cerca di rimediare portando un messaggio di pace e di raccordo tra le anime socialiste e sottolineando come il danno della cancellazione del partito socialista fu un danno per l'Italia che "ha portato a 12 anni di malgoverno, anzi di non governo". Il libro, dal titolo “Giacomo Mancini, mio padre” è in vendita nelle librerie, per i tipi di Rubbettino, a 8 euro. Da non perdere.

Video: Intervento di Pietro Mancini

Video: Intervento di Armando Veneto

Video: Intervento di Gianni de Michelis

L'importanza di chiamarsi Mancini
UN LIBRO AL GIORNO- " La Stampa " 4 dicembre 2004

di Filippo Ceccarelli
NON deve essere stato facile nascere, crescere e soprattutto fare politica come figlio di Giacomo Mancini, più volte ministro, segretario del Psi, bandiera del socialismo calabrese. E ancora pare di sentirli, i compagni di Roma e di Cosenza, quando parlavano di Pietro: «Il figlio», dicevano. Un misto di timore e di condiscendenza. Ma quelli tra padri e figli sono in realtà sentimenti assai complicati, né la vita pubblica contribuisce a semplificarli, anzi per certi versi si accanisce contro questo genere di sensibilità, l'intreccia in nodi di silenzio crudele, parole non dette, rimorsi. Quella volta che Mancini fu aggredito dai fascisti in treno e lui forse non intervenne come doveva, quell'altra volta che papà gli telefonò per complimentarsi dopo quell'intervista. Pane e politica, a casa Mancini. La frana d'Agrigento, il vaccino Sabin, l'autostrada, l'acciaieria di Gioia Tauro, le polemiche contro Cefis, gli apparati dei servizi segreti, la difesa garantista degli imputati del 7 aprile. Era un clamoroso piantagrane, Giacomo. L'aria un po' schifata, la voce nasale nascondevano in lui una passione fredda e concreta. I dc ancora se lo sognano di notte. E i comunisti, poi diessini, pure. Pietro, già sindaco di Cosenza, ha voluto scrivere un libro che è un tributo postumo di affetto filiale. Ma è anche un documento storico su un'Italia e su una classe politica che non ci sono più. E' un modo per scrivere al padre tutta l'ammirazione che in vita non seppe dirgli. Però, da giornalista qual è, Pietro traccia del padre anche un profilo che dà il senso dell'immane trasformazione occorsa negli ultimi vent'anni. I partiti ormai definitivamente in crisi, il meridionalismo ridotto al lumicino, l'idea stessa di rappresentanza accartocciata su se stessa. Il doppio registro è obbligato. Sennonché il Mancini privato e quello pubblico a volte coincidevano, e drammaticamente. Così fu nel 1992, quando il padre impedì che il figlio si presentasse alle elezioni e scese da solo in battaglia, capolista su richiesta di Craxi. E chiamato a spiegare al figlio quel no, non trovò di meglio che dirgli: «No, guarda che stavolta è davvero dura e vado io anche per evitare a te una bruciatura». Perché così funziona nelle dinastie, come in una specie di tragedia greca. Anche per Giacomo non fu affatto facile. Anche lui ebbe un padre ingombrante: Pietro, «Pitruzzu d'a pinna rossa», più volte deputato nelle legislature pre-fasciste, ministro con Badoglio e Bonomi, parlamentare alla Costituente, anima fondante del partito che in Calabria aveva appunto come distintivo la pinna rossa. E insomma, non c'è verso: quando la tradizione di famiglia chiama e i percorsi dell'esistenza appaiono segnati dalle precedenti generazioni. Dunque così è andata a Pietro-Pitruzzu, a Giacomo, a Pietro e adesso di nuovo a Giacomo, giovane figlio di Pietro, eletto al Parlamento con la lista Mancini, ovviamente. E alla fine del libro non si capisce bene se questa vocazione è una virtù, o una disgrazia, o tutte e due le cose insieme. Filippo Ceccarelli

Il Prof. Crispini , il sen. Landolfi e Pietro Mancini


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