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Operazione della DIA di Roma, 43 arresti, arrestato sindaco nel reggino
Operazione della DIA di Roma, 43 arresti, arrestato sindaco nel reggino 10 mag 22 Il sindaco di Cosoleto, Comune del Reggino, Antonino Gioffré è stato arrestato nell'ambito dell'inchiesta "Propaggine" condotta dalla Direzione investigativa antimafia. Il suo nome compare nell'elenco dei 34 soggetti raggiunti da un'ordinanza di custodia emessa dal gip su richiesta della Dda reggina contro la cosca Alvaro-Penna di Sinopoli. L'indagine è collegata a quella della Dda di Roma. Nel filone calabrese, 29 persone sono finite in carcere e 5 ai domiciliari. Gioffré è accusato di scambio elettorale politico-mafioso. In sostanza avrebbe favorito l'assunzione di un altro soggetto indagato. Gli altri reati contestati dai pm sono l'associazione mafiosa, il favoreggiamento commesso al fine di agevolare l'attività del sodalizio mafioso e la detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate. Le indagini sviluppate dal Centro Operativo Dia di Roma hanno fornito gravi indizi sull'esistenza dell'associazione di 'ndrangheta denominata cosca Alvaro-Penna, i cui sodali, secondo l'accusa, risultano detentori di un radicato controllo del territorio e delle attività economiche, nonché infiltrate nella gestione di alcune amministrazioni locali. Il possesso di armi, anche da guerra, da parte dei componenti dell'associazione criminosa determina la pericolosità dell'associazione stessa. Tra arrestati vertici cosca Alvaro Ci sono tutti i presunti esponenti di vertice della cosca Alvaro di Sinopoli tra gli arrestati del filone reggino dell'inchiesta condotta dalla Dia che stamani ha portato all'esecuzione di due ordinanze di custodia cautelare emesse dai gip di Roma e di Reggio Calabria. In carcere sono finiti Carmelo Alvaro, detto "Bin Laden", Carmine Alvaro, detto "u cuvertuni", ritenuto il capo locale di Sinopoli, e i capi locale di Cosoleto Francesco Alvaro detto "ciccio testazza", Antonio Alvaro detto "u massaru", Nicola Alvaro detto "u beccausu" e Domenico Carzo detto "scarpacotta". Dalle indagini condotte dalla Dia reggina, infatti, è emerso che la cosca, oltre ad essere operativa nel territorio di Sinopoli, dominava anche il centro urbano di Cosoleto, paese aspromontano, ove insiste un locale di 'ndrangheta autonomo ma funzionalmente dipendente da quello di Sinopoli. Al termine dell'indagine "Propaggine" condotta dalla Dia con il coordinamento della Dda di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri, sono state arrestate 34 persone, 29 in carcere e 5 ai domiciliari. Tra questi il sindaco di Cosoleto Antonino Gioffré. Gli interessi della cosca Alvaro-Penna, infatti, secondo la Dia, si sarebbero estesi all'amministrazione locale. Dalle indagini è emerso un forte interesse dei sodali per la competizione elettorale del Comune di Cosoleto del 2018. In particolare Antonio Carzo, ritenuto capo del locale romano, è accusato con il sindaco Gioffré di scambio politico-elettorale. Oltre a questo reato, gli indagati rispondono a vario titolo di associazione mafiosa, favoreggiamento commesso al fine di agevolare l'attività del sodalizio mafioso e detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate. L'attività investigativa è stata avviata nel 2016 dal Centro operativo della Dia con il coordinamento della Procura di Roma. Successivamente, a seguito dell'emersione di numerosi e significativi punti di contatto con soggetti calabresi operanti a Sinopoli, Cosoleto e territori limitrofi, parte degli atti sono stati trasmessi per competenza e le indagini, per tale parte, sono proseguite con il coordinamento della Dda di Reggio Calabria. Oltre a confermare l'esistenza del locale di 'ndrangheta nel territorio di Sinopoli, dove è radicata la famiglia mafiosa degli Alvaro e a cui è legata la famiglia Penna, le indagini hanno consentito di appurare come la cosca abbia dato vita, nella capitale, ad un'articolazione (denominata locale di Roma), che rappresenta un "distaccamento" autonomo, del sodalizio radicato in Calabria. Secondo gli investigati, con l'inchiesta della Dia c'è un'immagine nitida dell'esistenza di una propaggine romana, oggetto delle indagini coordinate dalla Dda di Roma. Autorizzato dai massimi vertici della 'ndrangheta calabrese, si tratta di un locale che era in stretto legame con la "casa madre sinopolese" che aveva il compito di trovare una soluzione alle frizioni tra i sodali romani. A Roma è stata esportata anche l'osservanza dei riti e dei linguaggi tradizionali. I due capi del locale romano limitavano al minimo gli incontri di persona con i vertici calabresi, facendoli coincidere con eventi particolari, quali matrimoni o funerali. Operazione tra Lazio e Calabria L'operazione della Direzione Investigativa Antimafia è stata portata termine a Roma e provincia, in Lazio, a Reggio Calabria e in Calabria per l'esecuzione di un'ordinanza cautelare del gip di Roma su richiesta della Dda romana nei confronti di 43 persone. Alcuni sono accusati di far parte di una locale di 'ndrangheta, radicata nella capitale e finalizzata ad acquisire la gestione e il controllo di attività economiche in svariati settori, ittico, panificazione, pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti. in corso anche perquisizioni e sequestri e l'esecuzione di misure cautelari disposte dal Gip su richiesta della Dda reggina. L'organizzazione, secondo quanto riferito dagli inquirenti, faceva poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività. Inoltre, secondo quanto emerso dalle indagini sviluppate dal Centro operativo Dia di Roma - denominate "Propaggine" - l'organizzazione si proponeva anche il fine di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l'incolumità individuale e in materia di armi, affermando il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe. A Reggio Calabria le misure sono state emesse all'esito del coordinamento investigativo con la Direzione distrettuale antimafia di Roma. A Roma cosca guidata da due boss Era formata da una diarchia la 'ndrina "locale" che operava a Roma da alcuni anni dopo avere ottenuto il "via libera" dalla casa madre in Calabria. E' quanto emerge dall'indagine della Dda della Capitale e Dia, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò e che ha portato alla emissione di 43 misure cautelari. A capo della struttura criminale c'erano Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a storiche famiglie di 'ndrangheta originarie di Casoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. Le risultanze investigative hanno evidenziato come fino al settembre del 2015 non esistesse una "locale" nella Capitale, anche se sul territorio cittadino operavano numerosi soggetti appartenenti a famiglie e dediti ad attività illecite. Nell'estate del 2015 Carzo avrebbe ricevuto, secondo quanto accertato dagli inquirenti, dall'organo collegiale posto al vertice dell'organizzazione unitaria (la Provincia e Crimine) l'autorizzazione per costituire un struttura locale che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di 'ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d'origine. Il gruppo agiva su tutto il territorio di Roma con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione (locali, bar, ristoranti e supermercati) e nell'attività di riciclaggio di ingenti somme di denaro. Nei confronti degli indagati si contesta, tra gli altri, l'associazione mafiosa, cessione e detenzione di droga, estorsione e fittizia intestazione di beni. Vittime non denunciavano per paura "L'insieme delle circostanze hanno dato prova del metodo mafioso e della paura di coloro che si sono trovati sulla strada dei capi e degli associati della 'locale'" 'ndrina "che professava la sua aperta vicinanza alla 'ndrangheta ("dietro di me c'è una nave"), impedendo alle vittime così di denunciare alle Forze dell'ordine avendo paura di ritorsioni". E' quanto scrive il gip di Roma, Gaspare Sturzo, nell'ordinanza con cui ha disposto 43 misure cautelari nell'ambito dell'indagine della Dda e della Dia. Per il giudice "siamo di fronte ad un complesso di vicende che a partire dal 2015/2016 si sono sviluppate, alcune ancora in corso sino al settembre 2020 e comunque con effetti di permanenza quanto a società ed aziende ad oggi gestite con capitali di illecita provenienza, o oggetto di riciclaggio, mostrando come gli indagati sono stati in grado di impedire - scrive il gip - ogni forma di collaborazione con le autorità giudiziarie, sia delle vittime, come di professionisti non collusi con costoro, nonché degli stessi dipendenti delle aziende e società". Prefetto Roma, grazie a Dia e magistratura "Grande apprezzamento per l'imponente operazione di questa mattina che ha consentito di sgominare una locale di 'ndrina operante sul territorio della Capitale. Ringrazio gli uomini della Dia e delle forze dell'ordine ed i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Roma che, in coordinamento con i colleghi di Reggio Calabria, hanno segnato oggi un altro importante punto nella lotta alla criminalita' organizzata, ribadendo il forte impegno delle Istituzioni nel contrasto alle consorterie malavitose". Lo comunica il Prefetto di Roma, Matteo Piantedosi.
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