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Troppi contagi, c'è rischio di epidemia incontrollata
Troppi contagi, c'è rischio di epidemia incontrollata 09 nov 20 L'epidemia di Covid-19 in Italia peggiora e a livello nazionale l'indice di contagio Rt è pari a 1,7. Oramai tutte le Regioni/PA sono classificate a rischio alto di una epidemia non controllata e non gestibile sul territorio o a rischio moderato con alta probabilità di progredire a rischio alto nelle prossime settimane. La maggior parte del territorio nazionale è compatibile con uno scenario 3 ma sono in aumento le Regioni e le province autonome in cui la velocità di trasmissione è già compatibile con uno scenario 4 e la situazione e' ormai "complessivamente e diffusamente molto grave sull'intero territorio con criticità ormai evidenti in numerose aree". La Lombardia con 2.08 è la regione con l'Rt più alto, segue la Basilicata con 1.99, Piemonte con 1.97, Molise con 1.88. e Provincia autonoma di Bolzano 1.87. È essenziale "rafforzare le misure di mitigazione in tutte le Regioni/PA" e il direttore del dipartimento della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, presenta il quadro di una "situazione epidemiologica da Covid-19 che continua a peggiorare", con "oltre 500 casi per 100mila abitanti e quasi tutte le regioni italiane pesantemente colpite". Fra le preoccupazioni maggiori c'e' quella per le strutture sanitarie: ci sono "forti criticità dei servizi territoriali e il raggiungimento attuale o imminente delle soglie critiche di occupazione dei servizi ospedalieri in tutte le Regioni/PA", si legge nell'analisi dei dati per il periodo 26/10-1/11 con aggiornamento al 9 novembre. L'indicazione e' quella di una "drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone in modo da alleggerire la pressione sui servizi sanitari. È fondamentale che la popolazione eviti tutte le occasioni di contatto con persone al di fuori del proprio nucleo abitativo che non siano strettamente necessarie e di rimanere a casa il più possibile". Come ogni lunedì, i casi segnano una riduzione: sono scesi a 25.271 (7.000 in meno in 24 ore), e si è ridotto anche il numero dei tamponi: 147.725 ieri contro 191.144. I decessi sono stati 356 in più in 24 ore e i ricoveri nelle unità di terapia intensiva sono saliti complessivamente a 2.849. Con 4.777 nuovi casi, la Lombardia continua a essere la regione più colpita, seguita da Campania (3.120) e Piemonte (2.876). Nonostante i numeri calino a livello nazionale, il rapporto fra casi positivi e tamponi continua a essere alto:17,1%. Da 3 giorni ormai si è attestato su valori superiori al 17%, primo indicatore di come i numeri dell'epidemia continuino a sfuggire numerosi dalle maglie del tracciamento. Avere un quadro fedele della situazione epidemiologica è comunque molto difficile perché "l'indice Rt viene calcolato sulla base della data in cui sono comparsi i sintomi", osserva il fisico Giorgio Parisi, dell'Università Sapienza di Roma. "La percentuale di chi ha i sintomi varia da regione a regione" e "non viene indicato il motivo per cui le persone fanno il tampone". Sarebbe importante saperlo, secondo il fisico, soprattutto considerando il fatto che "una volta c'erano variazioni non notevoli, ma adesso non si capisce perché molti facciano i tamponi": Significa, ha detto, che "le regioni non riescono a fare il contact tracing come una volta e che non riescono ad avere informazione di quanto sta succedendo". Ecco perché il rapporto fra casi positivi e tamponi continua a essere "molto alto in tutto il Paese": "il fatto che il rapporto rimanga costante rispetto ai giorni in cui i tamponi sono di più fa pensare che riduzione dei casi positivi sia solo apparente", ha rilevato il fisico Giorgio Sestili, fondatore e fra i curatori della pagina Facebook "Coronavirus - Dati e analisi scientifiche". Sostanzialmente "ogni 40.000 tamponi che facciamo registriamo 7.000 casi in meno: è come se il rapporto fra la riduzione dei tamponi e quella dei casi sia costante", ha osservato. L'andamento dei decessi mostra invece un rallentamento, in linea con la curva epidemica, che ormai mostra di avere un tempo di raddoppio dei casi superiore a sette giorni.
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