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La malattia di Mario: da Praga 56 ore di viaggio per vedere i Lupi andare in B
Mario Sposati in viaggio verso Pescara con la sua compagna
La malattia di Mario: da Praga 56 ore di viaggio per vedere i Lupi andare in B 23 giu 18 Lui è Mario Sposati, ha 31 anni e fa l'avvocato. Come a molti cosentini piace girare per il mondo. Ma non solo per turismo. Le nuove opportunità, quando la tua terra rimane amara di proposte, le devi cogliere e bordo di un aereo. Ti devi spostare. Lontano dalle tue radici. Lontano, anche, dal tuo abbonamento di calcio appena sottoscritto. Così è succeso a Mario che, dopo il praticantato in uno studio legale di Cosenza e l'esperienza di lavoro in Spagna, anche per lui l'immancabile Erasmus, è tornato la scorsa estate in Italia. Acceso sostenitore rossoblù, amore ben sopportato dalla sua compagna aretina che lo segue in ogni trasferta, o quasi, come ogni anno a settembre sottoscrive l'abbonamento alla sua squadra del cuore. Ben sapendo che, da un momento all'altro, la valigia pronta dietro la porta potrebbe accompagnarlo oltre frontiera. Così è stato a gennaio. Colloquio nella Repubblica Ceca verso la fine dell'anno scorso e a dal primo gennaio si trova catapultato a Praga a lavorare per una nota compagnia immobiliare impegnata in ristrutturazioni e turismo. Una cosa complicata da spiegare. Uno di quei nuovi business che stanno facendo furore un pò in tutta Europa. Mario però, con la sua tenacia e tanto di laurea in giurispridenza, alla sua passione, a quasi 2000 km da casa, non rinuncia. Mi spiega che l'anno scorso tra le gare trasmesse via satellite da Raisport e le dirette via web su Elevensport riesce a tenere viva la sua passione. Sapere solo il risultato a fine gara non basta. Molte volte i viaggi-vacanza verso casa coincidono con le gare del Cosenza. Ma guarda un pò. Sempre pronto a studiare la strategia e cercare l'incastro che abbini il rientro al suo Cosenza. "Quest'anno è stato una sofferenza - ci dice- alti e bassi della squadra che però non hanno inciso nella certezza, io ne ero sicuro, c'ho sempre creduto". Così è stato per la finale. Un viaggio di 54 ore. "Ogni domenica che passava e turno che superava il Cosenza controllavo orari e percorsi per poter incrociare i Lupi. Il lavoro in pratica non ci lasciava finestre per partire. Così per la finale siamo riusciti a trovare il percorso adatto, visto che si giocava di sabato". Il viaggio? Quasi un'odissea. "54 ore in tutto senza mai dormire. Io e la mia compagna, che è stata sempre al mio fianco. Partenza da Praga alle 18 in bus fino a Berlino dove siamo arrivati alle 22. Qui abbiamo aspettato fino alle 6 del mattino di sabato. Siamo arrivati in aereo a Bari alle 10 di mattina. Qui è successa una grande cosa e di questo sono molto grato all'avvocato Antonello Apile e a "Cosenza nel Cuore" perchè il bus che veniva da Cosenza ha deviato il percorso per noi venendoci a prendere all'aereoporto di Bari. Emozione infinita. Non finirò mai di ringraziare Antonello per quello che ha fatto. Il Bus è arrivato intorno alle 14:30 e così siamo arrivati a Pescara. L'apoteosi. La partita le perle di Bruccini, Tutino e Baclet. Una gioia infinita. Ritorno a casa con il bus di 'Cosenza nel Cuore' fino a Bari dove siamo arrivati alle 5 di mattina. L'aereo è partito alle 10. Alle 12 siamo arrivati a Berlino dove abbiamo aspettato fino alle 17 il bus che ci avrebe riportato a Praga. Lì siamo arrivati intorno alle 23. Quasi 54 ore di fuoco". Siete dovunque. Un viaggio senza fine con la dolce compagna che in silenzio, senza mai lamentarsi, ha seguito Mario per tutto il viaggio. "Io sono riuscito a dormire solo un ora e mezza in aereo, lei, 'vittima' del Cosenza, è riuscita a dormire in aereoporto". Ma non temi che possa mandarti a quel paese? "No. Tranquillo. Me lo dice anche mio padre. Lei oramai mi ha conosciuto in tutte le mie azioni. Dai cellulari lanciati per aria alle grida davanti la tv per il Cosenza e ora nel viaggio, con me divide proprio tutto. Sapeva già a cosa andava incontro. Poverina non s'e l'è goduta assai, siamo arrivati praticamente distrutti. Mi ha sempre detto: non vedo l'ora che tutto questo finisca". Poi Mario confessa "E' un vizio di famiglia. Papà mi ha portato allo stadio e mio zio è quello più malato di calcio e che ha influito anche sulla mia passione. Loro due erano a Pescara allo spareggio con la Salerniatana. Io in pratica ho preso il peggio inglobando tutte e due le loro passioni". Quello che la sua compagna, che in silenzio ascolta la nostra chiacchierata, sentenzia è un pò il motto degli ultrà del Cosenza: "Siete dovunque" riferendosi al fatto che in ogni dove, si spostino in Europa, trova sempre cosentini e li trova sempre più tifosi del Cosenza. Il calcio, cordone ombelicale che lega alla terra d'origine quanti si sono dovuti allontanare per lavoro da essa. Ma Mario non è nuovo a queste imprese. Ci ho sempre creduto. "Io ero presente alla famosa partita con in casa con Lecce quando loro si salvarono e fecero la sfilata. Poi dopo la sconfitta in casa sempre con il Lecce io l'ho vissuta veramente male. Però ci ho sempre creduto. Sapevo che il vecchio volpone di Braglia avrebbe cacciato qualcosa fuori dal cilindro. Io non ho visto una squadra. Io ho visto una famiglia che si è ricompatatta dopo la sconfitta interna col Rende. Con la mia compagna commentavo che il Cosenza, secondo me, ha fatto una preparazione programmata per i play off. Calibrata al millimetrio. La sconfitta col Rende è stata la scintilla che ha spinto il Cosenza verso la serie B perchè dopo quella gara il tecnico ha trovato la quadratura giusta della squadra". Vi racconto i miei play off. "La prima partita dei play off con la Sicula Leonzio eravamo io e lei in aereoporto. Stavamo tornando a Cosenza per festeggiare il mio compleanno a casa assieme ai miei. Mettici il fatto che io ero straicazzato perchè non ero presente a vedere le partite. Ti dico di più. nella mia 'malattia che non va più via' sono arrivato anche a spedire messaggi alla società per dirgli di spostare le partite". E giù una risata. "Ho fatto l'impossibile" dice, mentre la sua donna continua a guardarlo stupito e a mettersi le mani in faccia. Tornando alla gara con la Leonzio Mario racconta "Mi sono fatto l'aereoporto di Praga camminando per novanta minuti imprecando fino a quando non abbiamo segnato. Lì ho avuto un sentore, perchè quando ribalti una partita i valore ce li hai. Con la Casertana mi sono spaventato tantissimo e quella è stata la partita dove ho sofferto di più stando male anche con attacchi d'ansia. Tant'è che lei mi disse: se devi stare male così partite non te ne vedi più. Passato quello scoglio è stato un crescendo rossiniano. Le partite successive le ho viste molto più tranquille. Col Trapani il 2 a 1 l'ho visto in aereoporto sul telefonino perchè ero andato a prendere mio padre che era venuto a trovarmi. Al gol ho gridato come un pazzo. Sia il ritorno col Trapani che con la doppia con la Samb ero tranquillissimo che saremmo passati. Col Sudtirol dissi: attenti che questi non li conosciamo e ci fanno gol. Così è stato. La domenica del ritorno della semifinale è stata veramente una domenica di passione. Ringrazio che sono stato solo, quel giorno, e lei non c'era. Sono riuscito a sfogarmi". Rivolgendosi alla compagna dice: meno male che non c'eri. "Poi l'autogol, una liberazione". La finale. "L'ho vissuta come una gita. Dissi alla mia donna, andiamo a Pescara, ci facciamo questa gita e come va va. Non ho caricato affatto di tensione la partita. Per scaricare dicevo: tanto stasera la perdiamo, tanto stasera la perdiamo. Nervosismo e scaramanzia. Sabato a Pescara ero la persona più tranquilla di questo mondo. Vuoi che loro erano senza 5 pezzi fondamentali. Vuoi che erano stanchi per i supplementari e i calci di rigore col Catania, sono andato veramente tranquillo ed ai gol non ho gridato più di tanto. Poi Baclet, che ha fatto ancora una volta un gol decisivo. La liberazione". La festa. "La finale è stata la seconda partita che lei ha visto assieme a me. La prima fu la gara di Coppa Italia con l'Alessandria, la seconda è stata la finale. La prima si trovava a Cosenza per farsi un po di mare. Devo anche dirti che volevo portarla con me ma dopo l'esperienza di Pagani, quando i tifosi della Paganese ci hanno rotto il pullmann, ho avuto paura e non me la sono sentita di mettere in mezzo lei nelle trasferte, in quelle condizioni. Tornando alla finale, dopo l'abbraccio liberatorio con lei per il gol di Baclet, l'abbraccio più bello che ci siamo dati, all'uscita dello stadio di Pescara, una bolgia di tifosi in festa. Sono rimasto attaccato al telefonino alla ricerca di mio zio per incontrarci. Bene, appena trovato ci siamo dati l'abbraccio più bello della mia vita. Mi ha preso in braccio come un bambino. E lei: no. Non era lui che ti ha abbracciato come un bambino: eravate due bambini perchè eravate tutti e due con le lacrime agli occhi." Finsice l'intervista. Mario emozionato si asciuga gli occhi e nell'altra stanza, in cucina, si sente Paola che canta: Sembra impossibile ......... .... questa è una malattia che non va più via........ Grazie Mario.
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