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      Tra lacrime di gioia e braccia al cielo il Cosenza vola in finale

       

       

      Tra lacrime di gioia e braccia al cielo il Cosenza vola in finale

      10 mag 18 Le lacrime di Allan, le braccia al cielo di Kevin, il pianto di Leo. Ognuno con un suo significato, profondo. Tre uomini che festeggiano, ognuno a modo suo, la conquista dell'agognata finale di Pescara. Allan non aveva, confessa a fine gara, mai provato un'emozione del genere. Grazie alle sue prodezze, è proprio lui che spacca la partita. Il Cosenza continua a sognare. Lo fa nel migliore dei modi: davanti a 20.000 cuori rossoblu che palpitano, gridano e piangono di gioia per una sorta di miracolo. E sì. Le braccia e lo sguardo rivolto al cielo di Kevin dicono tutto. Un pensiero che vola a chi, per una vita, l'ha cresciuto, coccolato, amato come solo un padre sa fare. E da lassù le coccole continuano a carezzare il suo sogno. Il sogno di tutti. Leonardo sembra un bambino. Piange di gioia a dirotto. Il culmine di una stagione storta che può finalmente regalargli qualcosa di bello. Tre vite che s'incrociano. Tre uomini che credono in quello che fanno. Tre pezzi di un mosaico faticosamente messo assieme da Stefano Trinchera e tarato da un certo Piero Braglia, bastian contrario del calcio italiano. Non gliene va mai bene una. E il suo essere troppo sincero qualche volta lo lascia in tribuna. Arbitri cattivi e insensibili ad un uomo che è ancora tutto d'un pezzo e che di calcio vive giorno e notte. Così come quando studia l'avversario e nelle sue pieghe c'infila il giocatore adatto. Come oggi, quando la sua squadra non riesce a cavare un ragno dal buco. Il giovane Zanetti ha fatto bene i compiti ma non fino in fondo. Il Tirolo del Sud è bravo a contenere la palla e a difendersi ordinatamente per poi lanciare il contropiede. Ma in costruzione mostra limiti evidenti. Qui in Aspro Monte ha trovato una barriera umana che lo ha circondato di affetto e calore. Ma non era per lui. Era per quegli undici uomini dalle sembianze di Lupi. Era per quegli angeli come Denis che da anni aspettano di raccontare la loro verità. Angeli che in questi ultimi anni hanno creato una schiera sulle soffici nuvole del paradiso. Totonno, Mario, Tonino, siete in tanti lassù a spingere il pallone oltre il sogno. Angeli che spingono negli abbracci di una battaglia vinta all'ultimo secondo un obiettivo a cui nessuno dava conto. Che regia raffinata Gigi. Lo sospettavamo. Le cose semplici non ti piacciono. Così a venti secondi dalla fine hai messo fretta ad Allan: muoviti che il bus per Pescara sta per partire. Si alza in volo col pallone che gli spiove vicino. E' un attimo. Un soffio. Sembra che Frascatore, che gli fa sentire il fiato addosso, venga chiamato non si sa da chi. Gira la testa di scatto e il pallone impatta sulla sua nuca formando una strana traettoria. Una specie di baleno che da la pressione giusta al pallone che va a gonfiare la rete. Un delirio. Abbracci e baci. Pianti e salti di gioia per ventimila cuori che battono all'impazzata. Il Cosenza è in finale e non se n'è quasi accorto. O meglio. La favola la continua Loviso, il Giobbe della situazione. Come il profeta è tartassato dalle piaghe. Un avvio di stagione tra tante sofferenze fino agli elastici in bocca a tenergli in trazione la mandibola spaccata improvvidamente mentre faceva la cosa che gli è sempre piaciuta fare, sin da piccolo: giocare al pallone. Ancora oggi un piacere. Lo confessa candidamente. Lo fa capire ai compagni che non ha mai lasciato un attimo. Con gli elastici in bocca e la difficoltà a parlare e deglutire. Uomini. Uomini veri. Sono quelli che Stefano Trinchera ha messo assieme. Sono quelli che Piero Braglia ha capito ed a cui ad ognuno ha assegnato un ruolo per quello che sa fare. Dal penultimo posto di settembre alla finale di giugno. A parole sembra facile. A viverlo come sulle montagne russe è tutt'altra cosa. La rincorsa fino al quinto posto di gennaio. La crisi d'inverno. La sconfitta col Rende. I quasi mille spettatori con l'Akragas. I ventimila di oggi. Le montagne russe. L'imprevedibilità del pallone. Ma dierto c'è una sorta di "papà" attento. Quel Braglia che i valori del calcio li ha tutti incarnati dentro. L'esperienza. Non passa col tempo. Se un contropiede si chiama riparetnza, o una melina si chiama densità, poco importa. La sostanza è sempre quella. E' fatta di intelligenza e di mosse azzeccate durante un incontro. Come quella di oggi. Studiata nei minimi termini. Pasqualoni non ha più di 60 minuti nelle gambe, ci racconta a fine gara il coach. La scusa per cambiare pelle è pronta. Dal 3-4-1-2 al 4-3-3 è un attimo. Entra Balclet e le bocche di fuoco davanti sono damblè diventate tre. Va in tilt il compitino preparato da Zanetti. Gli esterni se non coprono non possono più spingere e così via libera ai traversoni di Corsi e le giocate di Mungo. Tutino si brucia due jolly. Baclet deve fare i conti cone le ali montate da Offredi che gli blocca un pallone che tutti hanno visto in porta. Ma è questione di attimi. Allan è appostato in area e inzucca un gran pallone alle spalle del portiere sud austriaco. La rivincita dei francesi. Vola a braccia alzate sotto un "Marulla" straripante di gioia. La gara è in parità con l'andata. Ci sarebbero i supplementari. No. Non è così. Perchè a noi piace l'impossibile. Quel bus che a 20 secondi dalla fine si ferma sotto la curva nord e spalanca le porte: in carrozza signori, si va a Pescara!

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