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    Fallimento US Catanzaro, sei rinvii a giudizio

     

     

    Fallimento US Catanzaro, sei rinvii a giudizio, tra loro assessore regionale

    09 mag 13 Il giudice per le udienze preliminari Maria Rosaria Di Girolamo, ha rinviato a giudizio gli ex amministratori della società di calcio Us Catanzaro, dichiarata fallita il 15 giugno 2007. Nell'inchiesta sul fallimento dell'Us Catanzaro sono indagati Claudio Parente, imprenditore e attuale consigliere regionale; Massimo Poggi, imprenditore; Gerardo Carvelli, avvocato; Bernardo Colao, imprenditore; Giuseppe Ierace, commercialista, e Domenico Cavallaro, consulente d'azienda. I sei sono accusati a vario titolo di bancarotta fraudolenta e truffa ai danni dello Stato. Al termine della camera di consiglio il giudice per le udienze preliminari ha rinviato a giudizio i sei indagati ed ha disposto l'inizio del processo al 7 ottobre del 2013. Le indagini del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza sono partite da una verifica fiscale avviata per gli anni 2006 e 2007. L'ispezione, secondo l'accusa, aveva evidenziato delle irregolarità nella gestione societaria che avrebbero portato al fallimento. L'accusa sostiene anche che ci sarebbe stata l'indebita percezione di circa 3,5 milioni di euro erogati dalla Lega Calcio e di circa 500 mila euro erogati dalla Provincia di Catanzaro. Ad alcuni indagati erano state anche sequestrate delle somme di denaro e successivamente dissequestrate. Il 14 febbraio scorso la Corte di Cassazione ha ritenuto insussistente il 'fatto reato'. La Suprema Corte si era pronunciata sul sequestro delle somme che sono già state dissequestrate dal tribunale della libertà di Catanzaro.

    "La decisione del rinvio a giudizio di tutti gli amministratori che si sono succeduti negli ultimi 5 anni della gestione dell'Us Catanzaro era un provvedimento quasi scontato, considerato che si doveva valutare solo il fumus dell'indizio di reato da discutere in dibattimento anche se gli avvocati erano convinti che le sentenze del tribunale del riesame e della cassazione avessero già chiarito gli aspetti legati a questa incresciosa vicenda in quanto era venuto meno il 'fatto reato'". Lo afferma, in una dichiarazione l'ex presidente dell'Us Catanzaro Claudio Parente, oggi assessore regionale, tra i rinviati a giudizio. "Ma tant'é - prosegue - oltre a quanto già definito dalla cassazione sarà semplice dimostrare, ad esempio, che i lavori allo stadio furono realmente realizzati, come già accertato in sede civile e per il fatto che non risultino indagati coloro che materialmente li hanno eseguiti, controllati, autorizzati (ditte, fornitori, tecnici della prefettura e della lega) o come l'enorme massa dei debiti accumulati negli anni ante-2001 si sia arrestata solo grazie alle ricapitalizzazioni effettuati dalla maggioranza azionaria che faceva capo al sottoscritto, per come dichiarato dallo stesso curatore e riportato dalle perizie ordinate dai magistrati dai quali si evince che l'impegno economico è stato nettamente superiore a quello affrontato da tutte le compagni societarie che ci avevano preceduto e che la mia gestione è stata trasparente se è vero come è vero che non è stato coinvolto nemmeno il collegio sindacale. Purtroppo, in questa vicenda, la squadra di calcio era solo lo strumento operativo di un disegno perverso messo in atto da chi intendeva perseguire azioni criminose, alle quali non solo non mi sono mai piegato ma che ho pubblicamente denunciato sia sulla stampa (luglio 2005, giugno 2006) che, in modo puntuale, nelle sedi competenti e in tempi non sospetti rispetto a quelli in cui fu accertata la valenza criminale di chi era interessato a tale scopi. La mancata iscrizione avvenne per il solo fatto che non volemmo subire una seconda estorsione o renderci complici di atti e fatti che sarebbero sfociati in ben altre iniziative giudiziarie, come la storia ha poi dimostrato, preferendo affrontare le varie tappe della procedura concorsuale, da sempre rintuzzata con il concordato preventivo prima, il ricorso in appello accolto, mentre la cassazione decretò il fallimento solo per una interpretazione tecnica difforme sulla nuova legge fallimentare. Questo è quanto dissi al Procuratore della Repubblica dell'epoca e riportato negli atti del procedimento, sicuro della trasparenza del mio operato. Ero, altresi, convinto che questo rappresentasse il male minore, anche in termini sportivi perché avevamo preso una squadra in serie C2 con nove milioni di debiti che sarebbe potuta ripartire, sempre dalla serie C2, senza una lira di debito, senza le pressioni della piazza, scientificamente azionate, e con grandi possibilità di ritornare, in brevissimo tempo, in serie B senza rischiare amministratori giudiziari. Ho dato corpo, nei fatti e 7 anni prima, a quanto oggi consigliato dal Giudice Gratteri nella seduta del Consiglio comunale di Modena (marzo 2013) dedicata alla prevenzione e contrasto alle mafie: è preferibile chiudere e denunciare che avere come socio di minoranza chi porta capitali facili per poi assumere completamente il controllo della società. Tutto questo mi è costato tantissimo e non solo dal lato economico, ma per le conseguenze della cattiveria di quei pochi soggetti manipolati che avevano il compito di aizzare i tifosi prima ed oggi di strumentalizzare a loro piacimento questa vicenda kafkiana. Ma il tempo è galantuomo e permetterà di ristabilire la verità storica di questa vicenda cosi come il dibattimento porterà alla luce anche i fiancheggiatori di chi allora provocò l'instabilità societaria finalizzata alla sostituzione della maggioranza azionaria". "Nonostante ciò - conclude Parente - rifarei tutto quello che ho fatto perché rimane indelebile il ricordo della gioia sfrenata vissuta dai 15mila tifosi ad Ascoli, e di tutti i tifosi della provincia di Catanzaro, per il ritorno in serie B dopo 14 anni di purgatorio. Gioia pari alla stessa che ebbi a vivere nel 1971 con la promozione dei giallorossi in serie A. Solo per questa malattia ne è valsa la pena"

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