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    Colpo alla ndrangheta del comasco, 28 arresti, denuncia partita da calabrese

     

    Colpo alla ndrangheta del comasco, 28 arresti, denuncia partita da calabrese, plagiato bimbo 10 anni

    18 feb 16 Sono passati cinque anni e mezzo dall'inchiesta "Infinito", la pietra miliare che ha segnato l'anno zero della 'ndrangheta al Nord. Dopo centinaia di arresti, migliaia di intercettazioni e condanne passate in giudicato, "non è cambiato poi molto". Lo dice con aria sconsolata il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Alessandra Dolci, all'apertura della conferenza stampa per i 28 arresti eseguiti dai carabinieri del comando provinciale di Milano per l'inchiesta "Crociata" che ha smantellato il "locale" di Mariano Comense (Como). L'ordinanza di custodia cautelare in carcere è firmata dal gip Andrea Ghinetti (lo stesso di Infinito) su richiesta di Dolci e Marcello Tatangelo, e vi sono contestati a vario titolo l'associazione di tipo mafioso, l'associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, usura, estorsione e rapina. "Rispetto al 2010 c'è però una differenza sostanziale - ha detto il magistrato - All'epoca si trattava di un'ipotesi investigativa, adesso possiamo affermare che la 'ndrangheta in Lombardia esiste". Ma l'indagine "Crociata" ha svelato, ancora una volta, che il legame con la terra d'origine dei boss è così forte da obbligarli a chiedere consiglio per dirimere le questioni al Nord. E' accaduto per la lotta intestina al "locale" di Mariano Comense tra Salvatore "il Vecchio" Muscatello, il capo storico di 81 anni, e Francesco Salvatore Medici, 64enne di Sant'Agata del Bianco. Quando il primo è finito in carcere (per Infinito), Medici ha iniziato a lavorare per ottenere maggiore autonomia all'interno del clan facendo valere la "crociata", un grado molto alto nella scala gerarchica delle 'ndrine, che però non raggiunge quello del "crimine" posseduto da Muscatello. Inoltre, il boss 81enne ha contestato a Medici di non essersi "interessato ai detenuti e alle loro famiglie". Così il figlio di Muscatello, il 47enne Domenico, ha fatto la spola dalla Calabria per discutere con i padrini calabresi e fermare l'ascesa di Medici e, avendo ritenuto i calabresi fondate le istanze dei Muscatello, è stata bloccata quella che avrebbe potuto diventare una faida. Un'intercettazione registrata dai carabinieri di Monza chiarisce la questione: "Finché qui ci saranno i Muscatello, saranno loro a comandare". Con Muscatello che si compiaceva del figlio, di 10 anni, già avvezzo a ragionamenti mafiosi, come risulta da alcune intercettazioni, secondo le quali il bimbo voleva "seguire le orme del cugino Ludovico", anche lui presunto affiliato. Il "locale" diversificava gli affari: rapine, traffico internazionale di droga (cocaina dall'Olanda, hashish dal Marocco e marijuana dall'Albania) per rifornire il mercato lombardo e pugliese, estorsioni ed usura. L'inchiesta è iniziata indagando sui colpi di pistola esplosi contro due auto a Sesto San Giovanni (Milano) nel dicembre 2012, un'intimidazione dei fratelli Molluso nei confronti di due persone interessate ad acquistare immobili su cui loro avevano interesse. Fondamentale, però, per gli inquirenti è stata la denuncia di un imprenditore di origini calabresi che ormai schiacciato dai metodi mafiosi del suo socio in affari (Giuseppe Oliverio) si è presentato alla Direzione distrettuale Antimafia di Milano. "La testimonianza di Franco Manno, questo il nome dell'imprenditore, è un caso molto raro - ha dichiarato Dolci -. Aveva deciso di accogliere come socio di minoranza della sua attività commerciale un pregiudicato che dall'interno, attraverso i metodi mafiosi, è riuscito a rosicchiare tutta la sua azienda fino a costringerlo a cedere a prezzi irrisori la maggioranza"

    Inchiesta partita da denuncia imprenditore calabrese. L'inchiesta che ha portato a un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 28 persone, smantellando di fatto la locale di Mariano Comense (Como), è iniziata indagando su un'intimidazione avvenuta nel 2012 con dei colpi di arma da fuoco contro due auto a Sesto San Giovanni. Fondamentale, però, per gli inquirenti è stata la denuncia di un imprenditore di origini calabresi che ormai schiacciato dai metodi mafiosi del suo socio in affari (noto 'ndranghetista) si è presentato alla Direzione distrettuale Antimafia di Milano. "La testimonianza di Francomanno, questo il nome dell'imprenditore, è un caso molto raro - ha dichiarato il sostituto procuratore della Dda milanese, Alessandra Dolci -. La sua storia dimostra che stringere accordi con esponenti della criminalità organizzata, con la speranza di ottenere vantaggi o crescita lavorativa, porta ad essere fagocitati lentamente dal sistema. Nel suo caso, in particolare, aveva deciso di accogliere come socio di minoranza della sua attività commerciale un pregiudicato che dall'interno, attraverso i metodi mafiosi, è riuscito a rosicchiare tutta la sua azienda fino a costringerlo a cedere a prezzi irrisori la maggioranza e a chiudere altri rami che entravano in concorrenza con l'attività dell'ndranghetista". L'indagine è partita indagando su dei colpi di pistola esplosi contro due auto a Sesto San Giovanni e gli inquirenti hanno scoperto che si trattava di un'intimidazione dei fratelli Molluso nei confronti di due persone interessate ad acquistare degli immobili su cui loro avevano interesse.

    Gli arrestati sono 27 italiani e un albanese, catturati in Brianza, nelle province confinanti nonché in quelle di Crotone, Reggio Calabria e Bari. Il provvedimento è stato firmato dal gip del tribunale di Milano Andrea Ghinetti su richiesta della dott.ssa Alessandra Dolci e del dott. Marcello Tatangelo della Dda milanese. L'indagine ha acquisito, nei confronti di 11 fra gli arrestati, incontrovertibili elementi probatori in ordine alla loro affiliazione alla 'ndrangheta. L'attività investigativa, inoltre, ha permesso di ricostruire le dinamiche criminali proprie della 'locale' di Mariano Comense (Como) che, dedita secondo le indagini al traffico internazionale degli stupefacenti destinati ai mercati lombardi, calabresi e pugliesi, realizzava ulteriori profitti sottoponendo ad estorsione i commercianti del territorio, non tralasciando l'usura e le rapine. Nel corso delle indagini è emerso il disaccordo tra la figura del presunto capo e quella di un affiliato che rivendicava per sé un ruolo di maggiore preminenza all'interno della struttura. La questione è stata oggetto di numerose "discussioni" ed è stata portata all'attenzione dei vertici criminali in Calabria.

    Tra arrestati anche un "soggetto 19' . Tra gli arrestati dell'inchiesta della Dda di Milano che ha portato a smantellare la 'locale' di Mariano Comense (Como) c'era anche il cosiddetto 'soggetto 19', ovvero uno dei partecipanti al summit di 'ndrangheta al circolo Arci 'Falcone e Borsellino' di Paderno Dugnano avvenuto il 31 ottobre 2009. I carabinieri filmarono l'incontro e identificarono quasi tutte le persone intervenute ma per quelli rimasti anonimi assegnarono un numero. Come nel caso del '19', che si scopre essere Giovanni Carneli, 40enne di Locri, indagato nel 2006 per traffico di droga. Quel giorno accompagnò in auto al summit Salvatore Muscatello, il boss di 81 anni detto 'il vecchio', allora capo della locale di Mariano Comense.

    Il boss "Prima li pesto e poi gli offro un cocktail". "Prima lo pesto, poi gli do il cocktail e gli dico che lui vale i cinque euro del cocktail". E' questo il trattamento che secondo Ludovico Muscatello, uno dei presunti affiliati alla 'ndrangheta arrestati oggi nell'inchiesta della Dda di Milano che ha portato a smantellare la 'locale' di Mariano Comense (Como), andava riservato a quei molti "calabresi che consumavano senza pagare" in una discoteca gestita da persone vicine alla cosca. Muscatello, infatti, si legge nell'ordinanza firmata dal gip di Milano Andrea Ghinetti su richiesta dei pm Alessandra Dolci e Marcello Tatangelo, aveva saputo dal titolare di una discoteca di Cantù (Como) che "gli introiti erano notevolmente inferiori rispetto al numero di ingressi, per la presenza di calabresi che consumavano senza pagare". Un mancato "guadagno" che si "aggirava intorno agli 8mila euro al mese, e quindi il titolare richiedeva l'intervento di Muscatello Ludovico al fine di sistemare la cosa". E Muscatello in una telefonata "affermava di aver già garantito al titolare che, con la sua presenza nel locale, 'i paesani' avrebbero pagato tutti regolarmente" e diceva, intercettato mentre parlava con un altro arrestato: "Pagano e stanno zitti che si spaventano (...) prima lo pesto, poi gli do il cocktail e gli dico che lui vale i cinque euro del cocktail".

    Innegiamenti dal figlio di 10 anni del boss. "Voglio venire a lavorare con te (...) lo temevano a Ludovico (...) si divertono perché è un Muscatello". Sarebbero le parole dette dal figlio di 10 anni a Domenico Muscatello e riportate dallo stesso presunto boss che si "compiaceva", come risulta da alcune intercettazioni, che il bimbo "facesse già determinati ragionamenti" e che voleva "seguire le orme del cugino Ludovico", anche lui presunto affiliato. E' quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Milano Andrea Ghinetti su richiesta dei pm Alessandra Dolci e Marcello Tatangelo nell'inchiesta che stamani ha smantellato un clan della 'ndrangheta di Mariano Comense (Como). Come scrive il gip nel provvedimento, "i giovani Muscatello erano d'esempio anche per i cugini più giovani, come il figlio di Domenico". E il 14 settembre del 2013 veniva intercettata una telefonata nella quale Domenico Muscatello, figlio dello 'storico' boss Salvatore, raccontava che suo "figlio" cercava "di seguire le orme del cugino Ludovico in quanto a dire del bambino Ludovico era una persona temuta anche per la sua appartenenza alla famiglia Muscatello". E, si legge ancora, "nel corso della discussione Domenico si compiaceva del fatto che il figlio di appena dieci anni - scrive il giudice - facesse già determinati ragionamenti".

    PM Dolci "C'è la ndrangheta in Lombardia". "Sono passati cinque anni e mezzo dall'inchiesta Infinito e siamo ancora qui a parlare di 'ndrangheta in Lombardia. Non è cambiato molto". A parlare è il sostituto procuratore della Dda di Milano, Alessandra Dolci, che commenta un velo di sconforto la nuova inchiesta che ha portato a smantellare la "locale" di Mariano Comense (Como) grazie a un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per 28 persone accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale degli stupefacenti, usura, estorsione e rapina. "Rispetto al 2010 c'è una differenza sostanziale - ha detto il magistrato - All'epoca si trattava di un'ipotesi investigativa; adesso, dopo le condanne in giudicato, possiamo affermare che c'è la 'ndrangheta in Lombardia".

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