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Arrestati dai CC gli autori dell'omicidio del piccolo Cocò
Arrestati dai CC gli autori dell'omicidio del piccolo Cocò 12 ott 15 Questa mattina i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa su richiesta della procura Distretttuale Antimafia di Catanzaro, nei confronti di Faustino Campolongo alias "panzetta" 4 anni di Cassano e Cosimo Donato alias "topo" 37 anni di Castrovillari (nella foto), entrambi detenuti per altri reati nel carcere di Castrovillari, indagati per il triplice omicidio, perpetrato il 16 gennaio 2014 in Cassano allo jonio (cs), di Giuseppe Iannicelli, 52 anni, della compagna marocchina Ibtissam Touss, di 27, e del nipotino dell'uomo, Nicola 'Cocò' Campolongo, di tre anni, i cui corpi venivano rinvenuti carbonizzati all’interno di un’autovettura dopo essere stati uccisi con l’esplosione di diversi colpi di pistola. --- Conferenza Antimafia Nazionale, DDA, Ros CC, con intercettazioni --- Procuratore Roberti "Bimbo usato come scudo" --- Procuratore Lombardo "Vittime come ostaggi" I due sono indagati per omicidio premeditato e distruzione di cadavere, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività del sodalizio di matrice ‘ndranghetista degli “ABBRUZZESE” (art. 7 Legge 203/1991). I predetti sono ritenuti responsabili del triplice omicidio, perpetrato il 16 gennaio 2014 in Cassano allo Jonio (CS), di IANNICELLI Giuseppe, della compagna TOUSS Ibtissam e del nipote CAMPOLONGO Nicola junior, i cui corpi venivano rinvenuti carbonizzati all’interno di un’autovettura dopo essere stati uccisi con l’esplosione di diversi colpi di pistola calibro 7.65 alla testa. I provvedimenti restrittivi odierni scaturiscono dall’attività investigativa svolta, sotto la direzione della Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro, dai Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale e del Comando Provinciale di Cosenza. Sin dai primi momenti, il fatto delittuoso è stato ricondotto all’interno delle dinamiche proprie della criminalità organizzata operante in Cassano allo Jonio, ed in genere nella zona della provincia di Cosenza denomina “Sibaritide”, essendo la vittima designata dell’omicidio, IANNICELLI Giuseppe, soggetto da tempo dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti, dapprima in seno alla consorteria ‘ndranghetistica degli zingari cassanesi, gli “ABBRUZZESE”, e successivamente per il sodalizio storicamente contrapposto dei “FORASTEFANO”. Più specificamente, dalle attività investigative è emerso come IANNICELLI Giuseppe fosse entrato in contrasto con la cosca degli “ABBRUZZESE” sin dall’epoca della c.d. “faida di Cassano” (anni 2003 – 2004). Il dissidio si era ulteriormente acuito in tempi recenti, in seguito alla diffusione della notizia secondo cui il predetto sarebbe stato intenzionato a collaborare con la giustizia, nonché per l’apertura di un autonomo canale di approvvigionamento di stupefacenti che comprometteva il monopolio imposto dal clan degli zingari nell’area di influenza. Per arginare tali evenienze gli indagati DONATO Cosimo e CAMPILONGO Faustino, criminalmente legati alla vittima, sarebbero stati incaricati di attirare lo IANNICELLI all’appuntamento in cui è stato consumato l’efferato fatto di sangue. In tale ambito, le investigazioni hanno accertato come i citati indagati: dipendessero criminalmente dallo IANNICELLI per la distribuzione di stupefacente nei comuni cosentini di Firmo, Lungro ed Acquaformosa; avessero contratto un ingente debito relativo ad alcune forniture di droga acquistata in conto vendita dalla vittima; mal sopportassero la subordinazione allo IANNICELLI, aspirando ad assumere una posizione di rilievo criminale sul territorio in cui operavano. Le indagini si sono avvalse; delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia; delle dichiarazioni rese dai numerosi famigliari delle vittime, tutti pregiudicati per reati inerenti gli stupefacenti, armi, tentato omicidio ed altro; di un’intensa attività tecnica, che ha consentito di ricostruire i movimenti degli indagati nell’arco temporale in cui si è consumato l’omicidio, sia attraverso l’analisi dei dati di traffico delle utenze telefoniche sia delle celle radio base individuate, che certificavano la presenza di DONATO Cosimo e CAMPILONGO Faustino nelle immediate vicinanze del luogo dove si verificava l’incendio dell’automobile ove venivano rinvenuti i tre cadaveri; di intercettazioni telefoniche ed ambientali, prevalentemente in lingua arbereshe, che supportavano e riscontravano le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e dai familiari escussi. L’indagine, oltre a ricostruire il triplice omicidio sin dalle sue fasi preparatorie, ha consentito di individuarne il movente e la sua connotazione tipicamente mafiosa nonché di evidenziare le dinamiche mafiose tuttora insistenti nel territorio della sibaritide. Il 26 gennaio 2014, dieci giorni dopo l'omicidio, Papa Francesco rivolse a Cocò un pensiero e una preghiera in occasione dell'Angelus in piazza San Pietro: chi ha ucciso un bambino così piccolo, "con un accanimento senza precedenti nella storia della criminalità", "si penta e si converta", aveva detto il Pontefice, che qualche mese dopo incontrò anche il padre del bimbo, detenuto nel carcere di Castrovillari. . Le indagini dei carabinieri, oltre a ricostruire il triplice omicidio sin dalle sue fasi preparatorie, hanno consentito di individuare il movente, documentare la sua connotazione tipicamente mafiosa ed evidenziare le dinamiche criminali insistenti nel territorio della sibaritide. Spacciavano droga per nonno del bambino. Spacciavano droga per conto di Giuseppe Iannicelli i due uomini accusati di essere gli autori del suo omicidio e di quelli del nipote Cocò e della convivente. Cosimo Donato, 38 anni, detto "topo", e Faustino Campilongo, di 39, detto "panzetta", secondo l'accusa, distribuivano la droga tra Firmo, Lungro ed Acquaformosa per conto di Iannicelli col quale avevano anche un debito per una partita non pagata. I due sono accusati di omicidio premeditato e distruzione di cadavere, con l'aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l'attività della cosca degli Abbruzzese. In particolare, secondo la Dda di Catanzaro, sarebbero stati incaricati di attirare Iannicelli in una trappola. Al momento, però, non è stato accertato se siano gli autori materiali visto che al triplice delitti, secondo gli inquirenti, avrebbero partecipato altre persone. Iannicelli, secondo le indagini dei carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza, era da tempo dedito allo spaccio di droga, prima con la cosca degli zingari, gli Abbruzzese, e poi con il sodalizio contrapposto dei Forastefano. Il contrasto con gli Abbruzzese risaliva alla cosiddetta "faida di Cassano", avvenuta tra il 2003 ed il 2004. Dissidio che si era acuito recentemente dopo che nel cassanese si era diffusa la notizia secondo cui Iannicelli sarebbe stato intenzionato a collaborare con la giustizia. Circostanza nata per una presunta lettera scritta dall'uomo alla moglie mentre era detenuto ma mai trovata dagli investigatori, che non hanno neanche avuto conferme in tal senso. Tantomeno Iannicelli si è mai rivolto alle forze dell' ordine prospettando la possibilità di collaborare. Solo una volta, imputato in un processo per armi, l'uomo aveva indicato come il reale proprietario uno degli Abbruzzese che, tra l'altro, era deceduto. Innicelli, inoltre, era inviso agli Abbruzzese per la sua volontà di aprire un autonomo canale di approvvigionamento di droga che avrebbe compromesso il monopolio imposto dagli zingari. Le indagini si sono avvalse anche di un collaboratore di giustizia, detenuto da tempo, che avrebbe appreso alcuni particolari in carcere. Con gli accertamenti tecnici sono stati poi ricostruiti i movimenti degli indagati nell'arco temporale in cui è stato commesso il triplice omicidio, accertando, grazie all'analisi delle celle radio individuate, la presenza di Donato e Campilongo Faustino nelle immediate vicinanze del luogo dove è verificato l'incendio dell'automobile con i tre corpi all'interno. Donato e Campilongo, sono detenuti dal dicembre scorso per tentata estorsione. I due avrebbero preteso da un imprenditore, con ripetute minacce, di essere assunti "fittiziamente". Volevano essere pagati, in sostanza, senza prestare alcuna attività lavorativa. Bimbo come scudo. Cocò Campolongo, il bambino di tre anni ucciso il 16 gennaio 2014 insieme al nonno ed alla compagna di quest'ultimo, veniva usato dal congiunto, che lo portava sempre con sé, come scudo protettivo per dissuadere i suoi nemici dal compiere agguati nei suoi confronti. É quanto hanno riferito i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza. Procuratore Roberti "Una barbarie", "Il piccolo Cocò e la ragazza marocchina erano usati come assicurazione sulla vita da Giuseppe Iannicelli. Una cosa terribile, una barbarie allo stato puro". Così il procuratore nazionale antimafia Francesco Roberti ha commentato l'arresto, eseguito dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza, di Cosimo Donato e Faustino Campilongo. "Si tratta di un risultato interlocutorio - ha aggiunto - perché bisogna arrivare a individuare e prendere gli altri responsabili di questo terribile delitto". "E' un risultato parziale - ha dichiarato il procuratore della Dda di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo - ma siamo certi che queste due persone abbiano partecipato al delitto. Si sono incontrati con Iannicelli e lo hanno condotto su quello che poi è diventato il luogo del delitto e poi hanno bruciato i corpi, tra cui quello del piccolo Cocò. Di questo siamo sicuri perché il figlio di Iannicelli riferisce che Donato e Campilongo puzzavano di benzina da capo a piedi. Non possiamo dire che sono stati loro a sparare, ma neanche escludere il contrario perché dalle intercettazioni in carcere emerge la preoccupazione di Donato che i carabinieri possano ritrovare una seconda pistola in suo possesso e chiede ai familiari di ripulirla". Governale (ROS) "Crudeltà legata a fame di potere". "La 'ndrangheta agisce ancora con arcaicità e crudeltà legata a fame di potere. Non possono consentire che resti impunito l'omicidio di un bambino di soli 3 anni". A dirlo a Cosenza è stato il comandante del Ros dei carabinieri Giuseppe Governale. "Ricordo anche - ha aggiunto - l'omicidio di un altro bambino, Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido, altro fatto grave" Erano già detenute le due persone accusate di avere eseguito materialmente, nel gennaio del 2014, a Cassano allo Jonio, l'omicidio del piccolo Cocò Campolongo, di tre anni, del nonno, Giuseppe Iannicelli, e della compagna marocchina di quest'ultimo, bruciandone poi i cadaveri . Ai due, Faustino Campolongo e Carmine Donato, entrambi di Firmo, i carabinieri di Cosenza, insieme a quelli del Ros, hanno notificato nel carcere di Castrovillari (Cosenza), dove sono ristretti, le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip distrettuale di Catanzaro su richiesta della Dda. I presunti assassini di Cocò Campolongo erano già detenuti perché arrestati per traffico di droga nel 2014 sempre dai carabinieri di Cosenza in un'indagine sulla "cosca degli zingari".I due nelle intercettazioni effettuate dai militari nei colloqui erano preoccupati di una pistola persa e dicevano "Qua siamo per poco ma se la trovano qua ci rimaniamo" ha riferito il procuratore Lombardo durante la conferenza stampa. Sarebbe da collegare a contrasti per la spartizione dei proventi del traffico della droga l'agguato nel quale a Cassano allo Jonio, il 16 gennaio 2014, furono uccisi Giuseppe Iannicelli, la compagna marocchina ed il nipote di tre anni, Cocò Campolongo ed i loro cadaveri bruciati all'interno di un'automobile data alle fiamme. È quanto é emerso dalle indagini che stamattina hanno portato all'arresto dei due presunti responsabili del triplice omicidio. Iannicelli, che sarebbe stato legato alla cosca degli zingari, che gestisce il traffico della droga nella zona dell'alto Jonio cosentino, avrebbe tentato di assumere un ruolo autonomo e per questo motivo sarebbe stato assassinato. Oliverio: Regione parte civile in processo. "Finalmente i presunti responsabili del triplice delitto mafioso avvenuto a Cassano allo Jonio il 16 gennaio dell'anno scorso che determinò la morte del piccolo Cocò, di suo nonno, Giuseppe Iannicelli, e della sua convivente marocchina sono stati individuati e assicurati alla giustizia grazie alla costanza e alla determinazione dei carabinieri del Comando provinciale di Cosenza e dei Ros, coordinati dalla Dda di Catanzaro, a cui rivolgiamo il nostro doveroso apprezzamento". Lo afferma, in una dichiarazione, il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio. "Aver appreso dalle agenzie di stampa che il piccolo Cocò veniva usato dal nonno come 'scudo umano' per proteggere la propria vita - aggiunge Oliverio - conferma l'altissimo grado di efferatezza e di ferocia cui è giunta una criminalità senza scrupoli che, al contrario del passato, non esita ad uccidere le donne e i bambini e a darne i loro corpi alle fiamme, pur di affermare il proprio potere di vita e di morte. Uomini tanto spregiudicati e feroci costituiscono una minaccia e un pericolo per tutti. Siamo certi che ben presto anche gli altri responsabili di questo terribile delitto verranno individuati e assicurati alla giustizia. Per quanto ci riguarda continueremo a lavorare con i mezzi e gli strumenti a nostra disposizione per debellare definitivamente un fenomeno che infanga la nostra terra, ostacolandone la crescita e offendendo la generosità, l'onestà e la laboriosità della nostra gente". "Nel ringraziare ancora una volta quanti si impegnano e lottano quotidianamente per affermare legalità, trasparenza e rispetto delle regole su tutto il nostro territorio regionale, annunciamo sin da ora che la Giunta regionale della Calabria si costituirà Parte Civile nel processo che scaturirà dalle indagini contro gli assassini del piccolo Cocò". Occhiuto: Provincia Cosenza parte civile in processo. "La tragedia per la morte di Cocò ha sconvolto non solo il territorio di Cassano e della nostra provincia, ma quello dell'intera nazione. Niente potrà lenire quell'enorme dolore che la morte di un bambino innocente, di soli tre anni, ha lasciato nella sua famiglia e in tutti noi. Ma la giustizia può lenire in parte tanta sofferenza. Per questo non possiamo che congratularci con gli inquirenti che hanno dato un volto ai suoi brutali assassini, che hanno ucciso insieme al piccolo Cocò anche il nonno Giuseppe Iannicelli e la sua compagna Ibtissam Touss". Lo afferma, in una nota, il presidente della Provincia di Cosenza, Mario Occhiuto. "La Provincia - aggiunge Occhiuto - si costituirà parte civile al processo che sarà avviato al termine dell'inchiesta. Mi congratulo con il lavoro svolto dal Procuratore di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo e dal suo aggiunto Vincenzo Luberto; con i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza e con tutte le forze dell'ordine che, ogni giorno tra mille difficoltà, lavorano per onorare la giustizia combattendo contro la criminalità. Apprendiamo che le indagini non sono ancora concluse e ci auguriamo che presto tutti i responsabili di questa terribile strage possano essere assicurati alla giustizia" Sindaco Cassano "Comune parte civile in processo". "La notizia dell'arresto degli autori dell'efferato triplice delitto, che avevano distrutto con il fuoco anche il sorriso e l'infanzia del piccolo Cocò, mi riempie di soddisfazione e contribuisce a rimarginare, in parte, la profonda ferita scavata nell'animo dell'intera Comunità di Cassano". Ad affermarlo è il sindaco di Cassano allo Ionio Gianni Papasso che annuncia la costituzione parte civile del Comune nel processo che scaturirà dall' inchiesta. "Una città - prosegue - che non ha mai dimenticato e che ha atteso, con trepidazione e compostezza, di conoscere la verità su un crimine che aveva sconvolto le coscienze di quanti sono sensibili ai valori della vita e della dignità umana. Cassano non avrebbe mai voluto che si scrivesse quella terribile pagina di storia, poiché la sua Comunità è fatta da gente onesta e pacifica, lontana anni luce dalla mentalità criminale di gente che non ha desistito dai propri proposti neanche dinanzi allo sguardo terrorizzato di un bimbo di soli tre anni. Cassano, in quella terribile circostanza, ha saputo reagire con la forza del civismo e della cultura della legalità al degrado sociale ed etico che ha fatto da sfondo ad un simile crimine, riuscendo a rialzarsi e a riprendere un cammino nuovo e confidando sempre nella giustizia". "Oggi - afferma Papasso - la verità emersa ci rafforza e ci rende tutti più liberi, istituzioni e cittadini". "Prendiamo atto con soddisfazione - afferma ancora il Sindaco di Cassano - della risoluzione delle indagini grazie al lavoro certosino ed instancabile dell'Arma dei Carabinieri e del Ros, ai quali mi sento di esprimere tutto il plauso e la riconoscenza dell'intera città che rappresento. Ancora, un sentito ringraziamento va al procuratore Vincenzo Luberto, all'intera Procura distrettuale antimafia regionale e nazionale, per il costante lavoro di contrasto alla criminalità organizzata, che turba l'ordine sociale in questa terra, minando alla base ogni ipotesi di sviluppo e di crescita". "Saremo tutti più forti - conclude Papasso - per lavorare insieme con maggiore fiducia e speranza per costruire una società migliore, libera dal malaffare e dalla violenza, equa e solidale, con al centro l'uomo, i suoi bisogni e le sue ansie di riscatto, ove i giovani, gli uomini e le donne potranno vivere e operare in un clima di pace sociale, di concordia e legalità. Una società, soprattutto, che sappia amare e tutelare i bambini, ove a nessuno possa mai venire in mente di spegnere con la violenza il sorriso di un innocente". Vescovo Cassano: siamo all'anno zero di civiltà "Quando si uccide un bambino vuol dire che siamo all'anno zero della ragione, della giustizia e della civiltà". Lo ha detto il vescovo di Cassano allo Jonio, mons. Francesco Savino, commentando l'arresto dei due presunti responsabili dell' omicidio del piccolo Cocò Campolongo. "Si è fatta giustizia. Io faccio mie - ha proseguito mons. Savino - le parole dell'Angelus pronunciato da Papa Francesco quando, rivolgendosi agli assassini, disse: 'Convertitevi'. Io faccio un appello: mettiamo da parte ogni illegalità, ogni ingiustizia, ogni atteggiamento di prevaricazione. Mettiamo da parte tutto ciò che è violenza e incamminiamoci lungo la strada che a me piace chiamare della bellezza, dell'onesta, della reciprocità, del rispetto. La strada della legalità perché soltanto questa è la strada che può farci dire che è bello vivere la vita insieme". "Di fronte all'uccisione di un bambino - ha detto ancora il vescovo di Cassano - la ragione è sconfitta e le parole sono impotenti a dire qualsiasi cosa. Anch'io, in questo momento, provo quasi una sorta d'impotenza a commentare. Si è fatta giustizia, ma pensare che un bambino sia stato ucciso ancora una volta mi porta a dire si è trattato di un atto di barbarie e di inciviltà. Quando ci si serve di un bambino, quando si uccide un bambino, quando si fa una violenza di questo genere nei confronti di un bambino, vuol dire allora che, non soltanto laicamente, abbiamo toccato l'indecenza più profonda. Ma al tempo stesso io direi che, cristianamente, abbiamo ucciso ancora una volta Gesù di Nazareth". "Faccio mie le parole - ha detto ancora il vescovo di Cassano allo Jonio - di un grande martire della Fede, don Pino Puglisi, il quale diceva che noi dobbiamo abitare il territorio perché c'è qualcuno che vuole occuparlo per servirsene, per fargli violenza, per aggredire il territorio e chi vi abita. Noi dobbiamo stare sul territorio nella convivialità delle differenze, dove la differenza è una risorsa, è bellezza ed è ricchezza sapendo che solo così si attivano processi di democrazia, di civiltà, di cambiamento". ""Se avessi la possibilità di parlare con i due presunti assassini di Cocò, dopo aver fatto notare loro che Cocò poteva essere un loro bambino - ha concluso mons.Savino - gli direi: 'Ora. Ora non domani. Oggi incominciate veramente a cambiare vita, convertitevi perché anche per voi c'è una possibilità di cambiamento che può dare dignità alla vostra vita'"
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